Storie di antichi mulini
I mulini del Cervo: la galla, il follone, San Filippo Neri e Pistoletto
[da “Eco di Biella” del 24 aprile 2023 – Danilo Craveia]
Tra via Serralunga e il Cervo, nel ‘600, vari mulini in un fazzoletto di terra
Gli speziali Bora e Gamba, il conte Gromo, i filippini, i Sella
Fu Emilio Trombetta nel 1871 a portare la lana in quell’area di Biella
Si sa che il Theatrum Sabaudiae, pubblicato ad Amsterdam nel 1682, è più una mappa del tesoro che una carta geografica, e che fu composto per celebrare la magnificenza del Ducato di Savoia e non per rappresentarne fedelmente l’urbanistica e il paesaggio. Ma la tavola di Biella (realizzata nel 1668), come tutte quante quelle che compongono la raccolta, costituisce comunque un documento grafico straordinario che tramanda, pur nella “finzione scenica”, un insieme smisurato di elementi veritieri. Diamo quindi un’occhiata a quella porzione della veduta che riguarda la sponda destra del Cervo tra il ponte della Maddalena, che si intuisce appena, e quella chiesetta addossata alla cinta muraria in corrispondenza di una piccola porta, proprio nel punto in cui il torrente scorre tra due grandi rocce o monconi di ponte. Adesso lì c’è il ponte Nuovo o di Chiavazza. Il chiesone con tanto di torre campanaria appena a sinistra era il convento di San Pietro, come dire il vecchio Ospedale degli Infermi. Tornando sulla sponda, ecco un piccolo canale (bealera o roggia) derivato dallo Cervo e restituito quasi subito, una stradicciola che corrisponde alla odierna via dei Mulini (via Serralunga non esisteva) e un grappolo di edifici distinti i tre nuclei ravvicinati. Sulle facciate a mattina di due degli stabili si notano due ruote cadauno. Non c’è dubbio: siamo al cospetto di due mulini, anzi, a dire il vero quei caseggiati sono tutti mulini e/o affini mossi dalla stessa bealera. La “fotografia” scattata per il Theatrum Sabaudiae trova una valida corrispondenza in un altro “fotogramma”, quello del catasto di Biella del 1782-1790. La visuale non è quella a “volo d’uccello” del XVII secolo, ma quella zenitale e geometrica delle rappresentazioni catastali particellari. I disegni corredano la descrizione degli edifici e l’indicazione dei proprietari. Con un altro documento tecnico, il libro delle mutazioni o dei trasporti è, infine, possibile ricostruire i passaggi di proprietà di quegli immobili, fino a quando hanno assunto l’assetto attuale. Partendo da nord, cioè verso monte, i primi due nuclei restano quasi identici a distanza di più di un secolo. Quello più in basso rispetto al corso della roggia, invece, si è ingrandito parecchio. Oggi è Cittadellarte Fondazione Pistoletto. Ma qual è stato il suo destino dalla fine del XVIII secolo? E gli altri due mulini?
Il blocco centrale, nel 1782-1790, apparteneva a Renato fu Ercole Gromo conte di Ternengo. Tre mappali: uno era occupato da una “pesta” da canapa, gli altri due occupati da altrettanti “molini”, uno per granaglie, l’altro per le noci di galla (vedi in cima alla pagina). Il 21 marzo 1800 i due mulini e la “pesta” furono ceduti a Pietro Agostino Polto di Ternengo. Quest’ultimo fece rendere quelle ruote: i suoi due figli studiarono uno legge e l’altro medicina. A Torino. Giovanni Battista, l’avvocato, e Secondo, il medico, nel 1847 si liberarono di tutto a favore di Agostino Barbera Badilone. Costui, nel 1865, vendette alla ditta Maurizio Sella che, trent’anni prima, si era installata oltre il Cervo. Più a nord, il primo nucleo era esattamente speculare al precedente: pesta da canapa, mulino da galla e mulino da farina. Nel 1782-1790 appartenevano allo speziale Paolo Bora e a suo fratello. Dal farmacista al figlio Gaspare e poi, nel 1824, al nipote Francesco. Nel 1840, senza che vi fossero variazioni nella destinazione d’uso degli stabili, furono acquistati da Carlo fu Giuseppe Sella. Vent’anni più tardi, nel 1860, erano già della Maurizio Sella. In ordine cronologico, la prima delle acquisizioni strategiche dei Sella nella zona dei mulini. Non rimane nulla di quelle costruzioni. I capannoni della ditta Pietro Serralunga li hanno sostituiti nel paesaggio. Uno scavo archeologico potrebbe rivelare le loro fondazioni a ridosso del canale che, questo sì, esiste ancora e corre sotto gli stabili che formarono, tra Otto e Novecento, il Lanificio Trombetta. Il terzo “lotto”, quello del citato Lanificio Trombetta, oggi Cittadellarte, ha vissuto una storia più articolata e complessa. Anche perché i mappali interessati erano almeno dieci e vanno analizzati separati in tre porzioni. La prima è quella costituita dai tre immobili disposti parallelamente all’alveo del Cervo, a cavallo dell’ultimo tratto della bealera. Erano una casa d’abitazione (probabilmente per il mugnaio), un mulino e una pesta da canapa. Nel 1782-1790 appartenevano alla Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri di Biella. In forza della soppressione napoleonica della congregazione, i filippini furono espropriati (1803) e li comprò (1805) un figlio, Giuseppe, del già citato speziale fu Paolo Bora. Nel 1827, per permuta, furono ceduti a Giovanni Battista Bora e, otto anni dopo, a Fortunata Bora, vedova di tale Campacci. Indovinate a chi li vendette nel 1864…? Esatto, ancora l’insaziabile Maurizio Sella che stava applicando l’unica tattica efficace per assicurarsi i diritti d’acqua di quella roggia dirimpettaia: acquistare tutti gli immobili (edifici e terreni) bagnati dalla medesima, indistintamente. Costoso, ma risolutivo.
Questi primi tre stabili sono stati abbattuti, in toto o in parte, per far posto alla bella manica bianca che fu il vero e proprio Lanificio Trombetta. La stessa sorte toccò, almeno parzialmente, ad altri tre immobili adiacenti. Un mulino, una pesta da canapa e una stalla che, alla fine del XVIII secolo, risultavano essere una comproprietà tra un altro speziale, Antonio Gamba, e il cavalier Giovanni Battista Villani. Tra il 1809 e il 1822, con due acquisizioni distinte, il mugnaio Giovanni Beltramo unificò le due quote. Quell’unica proprietà fu ceduta nel 1870 a Celestino di Giovanni Maria Tonella Russi (1843-1918), imprenditore tessile di Trivero Cereie. Forse il giovane industriale voleva tentare una migrazione produttiva verso Biella? Se così era, l’operazione non ebbe esito positivo e già tre anni dopo, nel 1873, i fabbricati furono ceduti, guarda un po’ che caso, alla Maurizio Sella. Gli ultimi quattro immobili, quelli che si trovavano verso l’attuale via Serralunga, erano intestati al suddetto farmacista Paolo Bora. Si trattava di un “sito” e di una corte (uniti sono il cortile di Cittadellarte), di un mulino (fatto a “L” rovesciata, lati est e nord a chiusura del cortile) e di una pesta da canapa con annesso follone da panni (l’edificio con il passaggio di accesso al cortile, lato nord). Il battitoio, ossia follone, era il solo macchinario tessile attivo in tutta l’area analizzata. Questo “lotto” passò a Giuseppe Bora, figlio di Paolo (lo stesso che fece propri gli stabili dei filippini). Alla sua morte subentrò l’Ospedale degli Infermi di Biella che, allora, era ancora intitolato alla SS.ma Trinità. Nel 1860 l’istituto sanitario li mise in vendita e l’acquirente fu… No, questa volta non la Maurizio Sella, bensì Pietro Serralunga, il conciatore. Quindi si configurava una piccola enclave di cuoio in un territorio laniero sellificato. Ma il Serralunga era ancora lontano dal pensare di piazzare la sua fabbrica in quella parte di Biella che i nostri antenati chiamavano “Riva del Cervo” o “Aune” (l’auna è la voce piemontese per ontano). In quel momento la sua conceria era ancora nella vecchia sede (tra l’attuale ditta Brusasca, via Serralunga, discesa di Riva e via dei Mulini). Tant’è che nel 1871 cedette la sua enclave a Emilio Trombetta, che entrava finalmente in scena portando la lavorazione della lana dove prima non c’era. Per quanto riguarda i due primi nuclei, quelli dei mulini da galla, la situazione cambierà nel 1908, quando la Maurizio Sella li cederà a Giovanni Battista Serralunga, che edificherà lì la nuova azienda di famiglia ampliandone i volumi fino a fagocitare tutti quelli preesistenti di cui si è detto sin qui. Emilio Trombetta (1843-1907), invece, acquistò la casa del mugnaio che era stata della Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri nel 1885 dai Sella. Seguendo il filo del discorso, la summentovata manica bianca fu eretta poco dopo quella acquisizione e alcuni dei vecchi mappali sparirono. Nel 1879 lo stesso Trombetta acquistò il mulino del conte Bertodano dalle parti del Lanificio F.lli Cerruti e la ditta potè contare su due stabilimenti. Ma tutto finì nel 1934 quando Alfredo Trombetta (1870-1948), figlio di Emilio, cedette (perché…?) tutti i suoi immobili alla Cassa di Risparmio di Biella che, a sua volta, nel 1935 li cedette a… poco importa, dal 1991 c’è Pistoletto.
A proposito della galla:
Le noci di galla si devono al cecidio, una “malformazione delle piante causata da parassiti animali o vegetali […] Le più importanti noci di galla sono quelle determinate da insetti cinipidi sulle querce e usate in tintoria, conceria e fabbricazione di inchiostri; in commercio si distinguono le galle asiatiche, particolarmente ricche di tannino (tra esse le più pregiate sono le g. di Levante o di Aleppo o levantine) e le galle europee”. Dalla Treccani on line. Gli unici tre mulini da galla attivi a Biella alla fine del Settecento erano quelli in riva al Cervo che appartenevano al conte Bertodano (zona Lanificio F.lli Cerruti), al conte di Ternengo, Renato Gromo, e allo speziale Paolo Bora (vedi sotto). Il tannino estratto dalle noci di galla era utilizzato come mordente per fissare i colori sui fili e sui tessuti di cotone (di solito non era impiegato per la lana), soprattutto se si volevano tinte chiare perché il tannino di galla era meno scurente del sommacco o di altri mordenti. Per la concia delle pelli, invece, il tannino ha la funzione di consolidare e di conservare la pelle, altrimenti destinata a imputridire, attraverso lunghe e progressive immersioni. Oggi la chimica di sintesi ha sostituito il tannino nella produzione industriale.