Vol. II pp. 297-327 + App. vol. XXVII e Oropa vol. XXVIII
BIELLA, provincia che confina a levante e ad ostro con quella di Vercelli, a ponente col Canavese e con la valle di Aosta, a borea con la Valsesia, guardando dalla stessa parte l’antica Rezia, ora paese dei Grigioni.
Comprende settant’otto comunità, che dipendono dai seguenti capi di mandamento: Biella, Andorno-Cacciorna, Bioglio, Candelo, Cavaglià, Cossato, Graglia, Mongrando, Mosso Santa Maria, Salussola.
Positura ed estensione. I sopraccennati comuni si trovano parte fra montagne e valli, parte sulle colline e parte nella pianura.Questa provincia ha sedici miglia di estensione da levante aponente, diciotto da mezzodi a tramontana, e ducento trentanove in superficie quadrata. Le montagne la chiudono a ponente e settentrione; la collina ne forma il lato di levante e parte quello di ponente, la pianura giace a mezzodi.
Suolo. Il terreno della pianura vi è sabbioso. La maggiore o minore feracità ne è relativa a parecchie circostanze. In generale i siti che si possono irrigare ne sono i più fecondi. La cima dei monti non presenta segni di vegetazione, per essere nuda roccia. La maggior parte dei colli, soggetti ad avvallamenti nelle vicinanze dei rivi, non può essere innaffiata.
Laghi. Nei luoghi adjacenti alla collina trovansi due laghi: il principale è quello di Viverone: l’altro notevolmente più piccolo giace nella pianura di Roppolo.
Torrenti. Non vi scorrono fiumi propriamente detti. Dei molti torrenti che intersecano il Biellese, i principali sono il Cervo, l’Elvo, l’Oropa, l’Oremo, il Chiebbia, il Guargnasca, lo Strona, il Sessera, l’Olobbia, il Vionna e l’Ingagna. Il Cervo e l’Elvo sono tragittabili con barche: havvi a Salussola sull ‘Elvo un ponte natante; ivi fra breve sorgerà un ponte di cotto. Saporitissima è la trota che si piglia nella più parte di questi torrenti ed è quasi l’unico pesce che nelle loro acque sinutra. Il Cervo nasce dal lago detto della Vecchia sul monte d’Andorno, là dove la provincia confina con la valle di Aosta. L’Elvo ha origine da fontane che scaturiscono sul vertice dei balzi di Sordevolo. L’Oropa proviene dal lago del monte Mucrone. L’Oremo ha le sorgenti sulle montagne di Pollone. Il Chiebbia ed il Guargnasca provengono dai colli di Pettinengo e Bioglio. Lo Strona ed il Sessera discendono dalle montagne di Mosso. L’Olobia, il Vionna e l’Ingagna nascono sui balzi di Graglia. Il Cervo s’ingrossa particolarmente delle acque dell’Oropa, dell’Elvo e dello Strona; attraversa il Biellese da maestrale a scirocco, non che la parte settentrionale della provincia di Vercelli, e dopo un corso di trenta miglia si getta nel fiume Sesia. Pressoché tutti gli accennati torrenti, per non esservi argini, fuorchè nel luogo di Castellengo, straripano nelle loro piene, ed allagano con grave danno le circostanti campagne.
Strade. Non vi passano reali strade. Quattro vie provinciali si dipartono da Biella, e ne sarà fatto cenno, parlandosi di questa città.
Foreste. Le più considerevoli foreste si trovano nelle vallate dalla parte di tramontana. Alcuni boschi di minore riguardo veggonsi appiè delle colline di levante e ponente. Le selve che già vi erano dal lato di mezzodì, vennero inparte sradicate per dar luogo alla coltivatura del riso, segnatamente nei territori di Massaza, Villanova e Salussola. Tutta la pianura è però piantata d’alberi d’alto fusto.
Miniere. Negli antichi tempi le montagne di questa provincia erano ricche di ogni sorta di minerali, siccome ne lo accertano Strabone, Plinio, i due Della Chiesa ed il Brizio. Di fatto la storia ci rammenta che gli imperatori romani vietarono d’impiegare più di cinquemila schiavi intorno alle miniere del Vercellese; le quali in nessun luogo potevano essere situate, fuorchè nei monti di Biella. Ed invero, anche in tempi posteriori, il solo allibraimento dell’anno 1681 può dimostrare quanto il Biellese fosse ancora fecondo di ferro, rame, piombo, orpimento, litargirio, vitriolo, non che d’oro ed argento. Credesi però che ormai siano esaurite quelle miniere, o che più non se possono rintracciare i filoni; la onde gli scavi intorno ad esse furono abbandonati in tutta l’estensione della provincia. Si eseguirono, egli è vero, nel 1754 d’ordine del governo, assai dispendiose operazioni per rispetto alle miniere delle montagne denominate di Sessera, poste nei territori di Tavigliano, e nei limiti di Coggiola: si fecero pure, non è gran tempo, costosi lavori sulle alpi di Bioglio intorno ad una miniera d’argento, e ad un’altra di ferro magnetico; ma i prodotti avendone appena ragguagliati gli spendi grandissimi, si cessò dall’impresa. I romani anticamente mandavano nel territorio di Mongrando, presso le sponde dell’Oremo, ad estrarre il terriccio; dalla lavatura del quale ottenevano molecole aurifere. Esistono ancordi presente alcune gallerie a tal fine scavate non lungi dall’Oremo nel luogo detto la Bessa ed evvi lunghissimo tratto di suolo incolto, sulla superficie del quale veggonsi ammontichiati in abbondanti cumuli i sassi scavati per trovare dentro a quelle gallerie l’aurifero terriccio. Anche ai nostri dì, quando quel torrente straripa, si trovano miste colla rena molecole d’oro nativo.
Cave di marmi. Alcuni autori lasciarono scritto che questa provincia già fosse molto ricca di marmi. Fuvvi non è gran tempo chi affermò esservi, solamente nel paesetto chiamato il Favaro, quella specie di pietre, chiamate dai naturalisti serpentine od offici, le quali imitano perfettamente il marmo così per lo liscio e la lucidezza, come pei varii colori di che sonocosparse, delle quali pietre si formano altari, gradinate e gli ornamenti dei cammini; ma nella montagna che domina il villaggio di Pollone, al cui fianco sta il Favaro, sulla grande via che da Biella conduce all’Oropa, esiste un porfido rosso-bruno col feldspato a minuti grani, suscettivo di bella levigatura. L’egregio cavaliere Alberto Della Marmora fu il primo che lofece conoscere. Se ne puonno estrarre grandi massi per farne architravi e colonne. Di agevole salita è la via per cui si giunge al luogo,in cui ritrovasi questo porfido.
Nella direzione traversale allo sporgere del monte, cioè tra greco – levante e ponente – libeccio, inclinando ad ostro-sirocco, corre una serie di strati di roccie talcose e diallogiche: i quali strati sono in gran parte, secondo il verso della loro inclinazione che a un di presso è quella della montagna, ricoperti da prati. Questa formazione notevolmente si estende. Il porfido si rinviene al di sopra del Favaro. Nella sua vicinanza agli offici, presenta un colore quasi verdastro, che passa quindi albruno-rossigno. Lo strato di quest’ultimo porfido è più scoperto che gli altri e pare che oltre passi i quaranta metri di spessità. La sua lunghezza è visibile per più di mezzo miglio: dalla parte di Pollone si perde nell’Orema, oltre al quale il terreno di trasporto copre le falde della montagna, dal lato opposto, vale a dire verso il torrente Oropa, perdesi nel Rialfreddo, ed è ricoperto anche quivi da terreni di trasporto. Presumesiche continui verso il lato sinistro di quest’ultimo torrente, e che, mediante accurate indagini, si possa eziandio rinvenire nella montagna che separa la valle d’Oropa da quella di Andorno. Perocchè la stessa formazione serpentinosa, ond’è coperto il porfido del Favaro, appare anche in quest’ultima montagna.
Clima, complessione degli abitanti. Sauissima è l’aria che si respira in quasi tutti i luoghi di questa provincia. Si hanno adeccettuare soltanto i comuni di Salussola, Massaza, Villanova e la frazione di Magnonerolo, ove l’aria mal sana delle risaje dirada le popolazioni, al cui decremento assai contribuisce la condizione degli abitanti, che attendono per lo più alla coltivazione degli altrui poderi a schiavenza, mentre che negli altri comuni gli abitatori sono in gran parte possessori. Sonovi molte sorgenti di leggiere e limpide acque; vi abbondano eccellenti frutta di varie sorta: non è pertanto a stupire, se gli abitatori, d’altronde commendevoli per la loro sobrietà, vi sono per lo più di complessione robusta.
Rende attivissimi i biellesi l’angustia dei terreni. Dodici e più mila persone si allontanano per questo motivo dai loro paesi nei primi giorni di primavera, onde procacciarsi in altre regioni lavoro e guadagno e, ritornando sul finir dell’autunno ai propri focolari, sono accolte con vero giubbilo dalle loro famiglie, cui portano tutto il danaro che, mediante le assidue fatiche, e i lodevoli risparmi, hanno potuto raccogliere.
Agricoltura. Veramente non traggono essi in generale dai loro poderi che tenui ricolte, e queste a forza di lavori e sollecitudini inaudite. La provincia è in gran parte così montuosa, che fa d’uopo seminare non solamente la poca pianura e le valli, ma eziandio poggi scoscesi, altissimi e quasi perpendicolari; sommo è lo studio per rinvenire un angusto spazio di terra ed è maravigliosa la fatica nel coltivarlo senz’alcun soccorso di animali. Ma la sterilità del suolo è vinta dalla solerzia, alla quale è dovuto, che i terreni sono molto ricercati ed hanno un prezzo ragguardevole; perocchè le stesse famiglie poste in basso stato procacciano con ogni mezzo di possedere almeno un campicello per essere certe di una parte del loro sostentamento. E s’egli è vero, che la prosperità di una regione proviene massimamente dall’esservi divise fra molti le proprietà dei beni, in nessun’altra meglio che in questa godesi un siffatto vantaggio.
Prodotti. Dai calcoli più esatti si scorge che in tutta la provincia raccogliesi una quantità di cereali rilevante a 374,900 emine di Piemonte e che la sussistenza degli abitanti vi richiede quella di emine 1,050,000. Il frumento, la segale ed il gran turco di che qui vi si manca ricevesi nella massima parte dal Vercellese; e i guadagni delle manifatture riparano a cotanta scarsità di campestri dovizie. Convien però dire che si ricava un considerabil lucro dai numerosi vigneti con perizia ed attività coltivati, che danno incopia vini assai generosi, una parte dei quali esportasi non solo in altre provincie dei regii stati, ma eziandio nei paesi Lombardi. I più ricercati sono i neri della Motta, di Lessona, diCossato, Vigliano, Valdengo ed il chiaretto di Cavaglià.
Pastorizia. Non vi mancano i pascoli pel nutrimento di molte mandre, i cui prodotti sono di qualche rilievo; facendovisi butirro in abbondanza ed anche molti caci di mediocre qualità; quello si esporta in Vercelli, Casale ed Alessandria e procura al Biellese la somma di circa ducentomila lire. Sebbene le vacche vi sieno generalmente mantenute con assidua cura, ciò non pertanto la più parte dei vitelli, che si consumano in questa provincia, vi sono condotti dalla valle di Aosta, dall’alto Novarese e dalla Valsesia. Vi si fa ogni sforzo dagli abitatori di non pochi villaggi montani per migliorare le razze delle pecore, ma le loro sollecitudini non sono coronate da buon succedimento; perchè la lana essendovi poco acconcia a’ tessuti, non procura che uno scarso guadagno. La ricchezza pertanto della provincia deriva soprattutto dall’industriae dall’attività dei cambi.
Manifatture. I prodotti delle biellesi manifatture si trasportano nel Vercellese, nella valle d’Aosta, nella Savoja e massimamente in Torino: e di qua come da un centro comune si spediscono a molti altri paesi dei regii stati. Dalla capitale s’importano nel Biellese quasi tutte le materie prime, che alimentano e danno moto alle fabbriche: a rincontro nei fondachi torinesi mandansi le moltiplici stoffe di lana, lavorate in questa provincia. Le importazioni delle materie prime si fanno anche direttamente da Genova, per cui partono tre carrettoni ogni settimana, e da Milano per dove parte pure ogni settimana un vetturale. Le principali fabbriche di lanificio, delle quali si farà un particolar cenno al proprio luogo, esistono nella città, e nei villaggi di Sordevolo e Mosso valle superiore, Mosso valle inferiore, Mosso Santa Maria, la Croce di Mosso, Pollone, Occhieppo superiore. Altre pure ve ne sono nelle terre di Portula, Veglio, Trivero, Ronco, Zumaglia e Coggiola. Si lavorano in esse drappi, casimiri, droghetti, rovescie, rasce, baracani, stamigne, saje, mollettoni, tricots, frisoni, fustagni ed altre maniere di lanifici, le quali tutte si puonno dividere in fine, mezzane e grosse. Le prime, nel cui noverosi comprendono i panni tinti in lana ed i casimiri, che visi chiamano sopraffini, non acquistarono ancora quel perfezionamento che possa pareggiarle a quelle di Francia: epperciò il massimo studio dei fabbricanti biellesi è riposto nel farestoffe di mezzana qualità, le quali non riescono per nulla inferioria quelle che si lavorano in Francia e sono migliori assaidi quelle di Allemagna.
Nelle predette fabbriche, parecchie delle quali sono provviste di macchine inglesi per la cardatura e filatura delle lane, si contano per approssimazione 600 telai, sono occupate 5540 persone, che fanno annualmente 30000 pezze di drappi trafini, mezzani e grossi. Innanzi tratto vuolsi accennare che le più distinte biellesi manifatture sono le due appartenenti alle famiglie Sella, che occupano 1500 operieri, fra i quali giova il notare molti ragazziin età di circa sette anni, allettati dal guadagno di due franchi in ogni settimana. Questo genere d’industria cotanto vantaggioso vi ebbe un eccitamento grandissimo nel secolo xvi, quando il re Francesco I occupava il Piemonte. Chè in quel tempo si strinsero vincoli d’interessi commerciali fra i negozianti di Lione e i più ragguardevoli proprietarii delle manifatture biellesi: pei quali vincoli crebbe vien maggiormente in questa provincia l’attività dei lanifizi; ed esistono anzi nell’archivio comunale statuti del secolo xv concernenti le manifatture della lana, delle tele di linoe di canapa. E nell’anno 1585 i biellesi avevano già ottenuto un salvocondotto per viaggiare in Francia senza pagamento di dazi e mediante franchigie.
Numerose fabbriche di altre sorta di lavori quivi pure fioriscono; cosicchè in grande quantità si fanno stoffe in seta, stoffe in cotone, bei nastri, cordoni, calze di lana e berrette, riputatissime stoviglie d’ogni guisa e stufe d’argilla, per la formazione delle quali vi esiste una terra sommamente acconcia. Considerevoli inoltre vi sono i lavori in legno ed in ferro, l’orificieria, le pelliccierie e molte opere, a cui sono particolarmente applicate le donne. Distinguonsi le cartiere, le telerie, le concie, le fabbriche da cappelli, quelle di colla forte e massimamente le fucine di Mongrande, Portula e Netro, in cui fra le altre opere di ferro a migliaja si fanno le bajonette per uso della milizia; e a migliaja le falci, che sono molto riputate appo straniere nazioni; essendo noto che alla esposizione dei prodotti dell’industria fattasi in Parigi, non è gran tempo, le falci biellesi furono giudicate le migliori fra quelle di qualunque regione che in allora obbedisse alla Francia. Da tutte le accennate particolarità si può asseverare che in nessun’ altra provincia dei regiistati meglio che in questa è sbandita l’ignavia.
Oltre i moltissimi biellesi che in tre stagioni dell’anno esercitano in altre contrade i loro mestieri, si contano pure non pochi scarpellini, muratori, mercatanti e di tempo in tempo abili architetti, statuari e pittori, che recansi a fissare altrove il loro domicilio. La popolazione vi è più fiorente sulle montagne, ove cresce in modo singolare, che in varii siti della pianura, in cui pare che vada scemando, probabilmente a cagione delle vicine risaje.
Alla diocesi di Biella appartengono 100 parrocchie.
BIELLA città, capo di provincia e di mandamento, cui sono uniti i comuni di Chiavazza, Cossila, Ponderano, Pralungo e Tolegno. È sede di un vescovo suffraganeo dell’arcivescovo di Vercelli. Vi sono un comandante della città e provincia, l’uffizio d’intendenza, il tribunale di prefettura dipendente dal senato di Piemonte, l’uffizio d’insinuazione e delle ipoteche: vi hanno pure un riformatore delle regie scuole, un capitano del genio civile, un vice-direttore delle regie poste e la posta dei cavalli.
Positura geografica. Tra i gradi 45,22 di latitudine, e 5,33 di longitudine sorge in guisa di anfiteatro a levante, ostro e ponente quest’antica città. Parte di essa è situata nel piano e parte sopra di un colle, a cui si perviene per varie strade, due delle quali sono praticabili con vetture. È lontana 10 miglia da Ivrea, 20 da Vercelli, 22 da Varallo, 28 da Novara, 33 da Torino.
Nei tempi andati Biella era tutta fabbricata nel piano e divisa in vari quartieri; ma i grandi privilegi conceduti da Uguzione vescovo di Vercelli nel secolo duo decimo a coloro che avessero edificate case in sul colle vicino, indussero molti a stabilirvisi.
Vi sorgevano altre volte due castelli, uno presso l’antica chiesa di Santo Stefano, cretto nel secolo x, il quale però venne abbandonato nel 1152, allorchè l’anzidetto Uguzione tenne dall’imperatore Federigo I la facoltà di fabbricare un’altra rocca sul colle or detto il Piazzo: la quale fu quindi nel 1422 ceduta dal duca Amedeo ai PP. predicatori, che vi posero il loro convento. Nel secolo XII Federigo II ordinò che ne fossero smantellate le fortificazioni; ma vi furono di bel nuovo erette nel 1320 per opera del vescovo Oberto ed accresciute poscia negli anni 1336, 1338, 1340, 1354, principalmente nella guerra trai biellesi ed il vescovo di Vercelli.
Nel 1448 il duca Lodovico fecele anche meglio ristaurare, ma furono infine rovinate dagli spagnuoli nel 1649 ed ora più non se ne veggono che gli avanzi i quali dimostrano la vasta estensione di Biella nei tempi antichi. Ora questa città dividesi in tre principali quartieri, detti Piazzo, Vernato e Piano. Le appartengono due sobborghi chiamati Vandorno e Pavignano.
Strade. Di qua si dipartono quattro vie provinciali. La prima, da mezzodi, passa per Cavaglià, ove se ne diramano due tronchi, uno a destra che accenna ad Ivrea, l’altro a manca, per cui si giunge a Vercelli. La seconda, da levante, scorge a Novara passando per Cossato e per Gattinara. La terza, da greco, mette nella provincia di Varallo. La quarta, da ponente, conduce ad Ivrea. Le strade comunali che danno ai vicini villaggi comunicazione colla città sono in gran parte comode per vetture. Le principali sono quelle di Ponderano, Andorno, Oropa, Pollone, Graglia. È cosa notevole, che nessun comune v’è distante dal suo capo di mandamento più di un’ora di cammino.
Torrenti. Presso la città dalla parte di levante, e più sotto, dai lati di borea ed ostro, scorre il Cervo che vi si tragitta sovra due ponti di pietra, di cui uno assai vetusto, detto della Maddalena, trovasi a tramontana ed è sorretto da due archi, fra loro divisi per un isolotto di roccia, l’altro chiamato il ponte nuovo ha tre vasti archi: fu esso costrutto su grandioso disegno nel 1765. Dal torrente Oropa, che vi discende alla distanza di tre miglia, furono derivati alcuni canali, che servono per condur l’acqua nella città e per l’innaffiamento dei prati vicini.
Monti. Nel territorio di Biella sorgono i monti di Oropa; sono essi ricchi di pascoli fin quasi alla loro sommità, la quale è nuda roccia allignano bene i faggi verso la metà della loro altezza: alle falde vi crescono mirabilmente i castagni, i noci e le quercie. Per questi monti non serpeggiano che disastrosi sentieri, che guidano alcuni viandanti nella valle d’Aosta.
Proviene a questa città una sorgente di ricchezza dai vicini pascoli che alimentano molte mandre; non che da ben coltivati vigneti, di cui sono ragguardevoli i prodotti. Essa mantiene un vivo commercio con Vercelli e Casale, cui fornisce di butirro; con Ivrea da cui trae il ferro ed il rame; e con la Svizzera, donde le vengono caci squisiti.
Non tanto sui balzi oropei, quanto negli altri vicini luoghi, si cacciano molte pernici, beccaccie, fagiani, tordi, lepri e talvolta anche camozze in sulle rupi elevate. La coltivazione dei gelsi da lungo tempo introdotta in questo territorio, vi fe’ sorgere parecchie fabbriche per la torcitura della seta.
Fabbriche e manifatture. Nel 1548 vi fu stabilita con privilegio del principe una cartiera; ed altre se ne stabilirono in appresso, appartenenti ai signori Bernardo Amosso, Carlo Gariazzo e Pietro Marco Amosso; fra cui è provvista delle recenti macchine quella che appartiene al signor Bernardo Amosso. Occupando essa da 70 operai, fornisce in ogni anno circa 15,000 risme di buona carta, che smerciasi in Piemonte. Da quindici anni vi fu aperta una tipografia, provveduta assai bene di caratteri, e capace di stampar libri con qualche lusso. Sonovi tre fabbriche di lanifizi fornite delle macchine opportune. Più di 50 operai sono continuamente in esse occupati. Una è propria delli Pietro e Marco Amosso, un’altra appartiene a Paolo Amosso, la terza a Luigi Amato Boussu. Vi si rimarca una manifattura, che puossi dir l’unica in Piemonte, nella quale si fanno gli strumenti destinati alla cardatura della lana, propria delli signori Desorme, e Mauris. In numero di 5 vi sono le concie che occupano da 20 operai e conciano annualmente circa 10,000 pelli di bestie bovine, cavalli e montoni. Considerevole è in Biella il guadagno che ricavasi dalla vendita de’ mobili ed arnesi di casa ivi fabbricati, de’ quali pressochè in ogni settimana si fanno spedizioni a Vercelli, e Torino. Hannovi ancora nove fabbriche di cappelli, che occupano da 50 persone. Si fanno in esse annualmente circa 20,000 cappelli, i quali, secondo le diverse loro qualità, sono così soffici e fortiche non si scostano dalla bellezza e bontà di quei di Lione e vengono perciò ricercati in molti paesi d’Italia.
Pie instituzioni. La città gode il vantaggio di varii instituti di pubblica beneficenza. L’ospedale degl’infermi può ricoverare quaranta malati; quello di carità, a malgrado delle scarse sue rendite, può nutrire e vestire, non che far insegnare le prime lettere ed un mestiere a 60 poveri ragazzi d’ambi i sessi. L’orfanotrofio è capace di 35 alunne. Il monte di pietà, statovi eretto nel 1587, offre qualche sovvenimento a chi ne abbisogni. Si aperse da due anni una casa di educazione per le ragazze, che conta già 30 educande, alle quali s’insegnano, oltre i principali doveri, la lingua francese, il ballo e la musica. Si è dato principio alla costruzione di una casa destinata a ricevere i parrochi per avanzata età o per malattia incapaci a reggere le loro chiese. Evvi una casa di pubblici bagni tanto semplici, quanto medicati, in cui gli accorrenti sono serviti con esattezza.
Palazzi e piazze. Nella parte elevata vedesi una vasta piazza lateralmente cinta da spaziosi porticati. Il palazzo di città ne adorna un capo; dall’altro il palazzo del principe della Cisterna fa pomposa mostra di sè. Tristamente ivi presentasi il ghetto degli ebrei, che non fa che 17 fuochi. Un’altra piazza regolare giace nel piano. Essa in fronte ha la chiesa di S. Paolo. Si sta ora preparandone un’altra rimpetto alla chiesa cattedrale, che deve riuscire più bella ed ampia delle due sopraccennate. Fuori della porta, detta di Torino, esiste una spianata, a cui, per l’uso che se ne fa, venne dato il nome di piazza d’arme. Fuori di quella porta evvi un ameno passeggio da fronzuti alberi fiancheggiato. Abbellisce la città un teatro proprio dei cavalieri Villani. Fu esso costrutto nel 1824 sul disegno del Sevesi: è ricco di ornati, comodo e di sufficiente ampiezza per la popolazione. Staordinariamente aperto nelle stagioni di estate, autunno ed inverno. L’ampio salone del palazzo de’ marchesi della Marmora fu con particolar diligenza dipinto dai famosi Galliari. Di due quartieri militari, uno è tuttora destinato alla guarnigione; l’altro, in cui alloggiavano compagnie di fanti, venne ceduto dal governo ai PP. di S. Tommaso. Le carceri poste nel Piazzo sono di recente costruzione.
Istruzione pubblica. Per alloggiare i seminaristi avvi un superbo edifizio, che forma un parallelogrammo fabbricato da tre lati: nel mezzo stavvi la pubblica biblioteca; ove insieme con molti volumi saranno collocati i libri, che in gran numero arricchivano la biblioteca di monsignor Canaveri, secondo vescovo di Biella. Da questa è la casa divisa in due parti, di cui una serve ai chierici studenti di filosofia e teologia: nell’altra sono raccolti i giovani delle classi inferiori: a ciascuna è preposto un rettore. Nel 1729 il re Vittorio Amedeo vi stabili le pubbliche scuole, destinandovi professori per le classi di grammatica, umanità, rettorica, filosofia e teologia. Queste regie scuole sono ora poste nell’antica abitazione dei PP. minori conventuali di San Francesco. Per le scuole primarie civiche vi si ha cura di trascegliere periti maestri.
Conventi e chiese. Innanzi all’occupazione dei francesi eranvi in questa città sette confraternite e vi avevano stanza religiosi di molti ordini, cioè in Biella piana: i canonici regolari lateranensi, il cui convento fu innalzato da Sebastiano Ferrero padre di Giovanni Stefano e di Bonifazio, che furono entrambi vescovi di Vercelli ed insigniti della sacra porpora. I conventuali di S. Francesco, che ad istanza de’cittadini nel 1463 per breve di papa Pio II erano stati messi nel convento abbandonato dai minori osservanti, e poscia per altro breve di Sisto IV, del 6 marzo 1472, trasferiti nel quartiere di S. Paolo. Gli antoniani, che abbandonarono la loro chiesa nel 1559. I gerolamini fuori della città, fondati nel 1505 dal B. Giovanni Gromo originario di Biella, arciprete di Vercelli, e soppressi nel 1777. I minori osservanti riformati, introdotti nella città l’anno 1635 per placito del duca Vittorio Amedeo I: la loro chiesa, col nome di S. Antonio da Padova, fu consecrata il dì 8 di ottobre del 1673 dal padre Giambattista de’ conti di S. Martino di Strambino, religioso dello stesso ordine e vescovo di Losanna. I PP. eremitani di Sant’Agostino della congregazione di Lombardia con tempio dedicato a S. Pietro, i quali erano stati sostituiti nel 1484 agli agostiniani conventuali quivi introdotti nel 1235. Il loro convento aveva la più copiosa e stimabile biblioteca che esistesse in Biella. Gli agostiniani scalzi di S. Carlo, il cui convento era stato eretto nel 1641 per opera del principe Tommaso di Savoja, comechè a fondarlo varie nobili famiglie biellesi fossero eziandio concorse. Eravi già un monastero appellato di S. Chiara, fuori della porta di Vernato nel luogo detto di S. Agata di qui le monache vennero trasferite nell’interno della città in Piazzo nel monastero di Santa Catterina, eretto dalla vedova Catterina Vassalla Del Pozzo, per breve di papa Pio V; e finalmente entrarono in quello di Santa Chiara, ove dopo la soppressione dei conventi si formò l’orfanotrofio. In questa parte della città esisteva un altro antichissimo monastero di religiose cistercensi, sotto il titolo di Santa Maria Maddalena, soggette ai monaci di Lucedio. Nel Piazzo vedevasi pure un convento di domenicani, fondato nel 1431, la cui chiesa, sotto l’invocazione di S. Domenico, aveva bei dipinti del Zuccaro milanese, del Costantini, del Zamorra biellese. Nell’intervallo fra le due parti della città sorgeva il tempio di S. Lorenzo, cui uffiziavano i chierici regolari somaschi, stabilitivi nel 1632 per biglietto di Vittorio Amedeo I. Eravi fuor delle mura un convento di cappuccini con la chiesaintitolata a S. Giovanni Battista, stati quivi accettati nel 1552. Di presente dieci sono le chiese aperte nella città al pubblico culto; tre di esse vogliono essere particolarmente distinte. La cattedrale di architettura gotica sorprende non che per l’ampiezza, ma eziandio per le insigni dipinture del coro, opere del celebre Gagliari. Un magnifico atrio di recente costruzione, fatto sul disegno del Marandono, cittadino biellese, compie lo abbellimento della sacra mole statavi edificata nel 1402 sotto il titolo di Santa Maria maggiore. Questa cattedrale, ora sotto l’invocazione di Santo Stefano, ha un capitolo di sedici canonici con quattro dignità. Prima di esso eravi un’antica collegiata, di cui si hanno documenti del secolo decimo. La seconda ragguardevole chiesa vi è quella dei PP. dell’oratorio di S. Filippo, di recente costruzione, ricca di marmi, e di ornati. I filippini, ora ristabiliti, vi erano stati fondati nel 1742 dal sacerdote Scaglia, che poi ritirossi nell’ordine de ‘ predicatori dell’osservanza, e mori santamente in Cherasco. La terza è quella di S. Sebastiano, che un tempo appartenne ai canonici regolari lateranensi ed ora coll’annesso convento, che era stato ridotto nel 1813 a ritiro per la mendicità e che servi poi di quartiere militare sino al 1829, fu ceduta ai PP. francescani scalzi di S. Tommaso. Le parrocchie di Biella sono tre: nel Piano l’anzi detta cattedrale; nel Piazzo la chiesa di S. Giacomo; in Vernato quella di S. Biagio. I suoi due sobborghi hanno entrambi la loro propria parrocchiale: quella di Vandorno è consecrata a S. Antonio, l’altra di Pavignano è sotto il patrocinio di S. Carlo. Gli altri templi quivi uffiziati sono: nel Piano, S. Paolo, confraternita, la SS. Trinità, S. Cassiano; in Vernato S. Nicolò: in Piazzo S. Anna. Contengono essi per la più parte quadri preziosi, alcuni dei quali sono del Gaudenzio Ferrari e del Luini. Vi hanno ancora cinque chiesette dedicate a S. Rocco, che si aprono solo nel giorno della festa del santo. Nel 1832 fuvvi costrutto, a ponente dell’abitato e alla distanzadi circa mezzo miglio, un vasto cimiterio sul disegno dell’architetto Maggia.
La guernigione di Biella è ora ridotta a poche compagnie difanteria.Vi stanziano due brigate di carabinieri reali, una a cavallo e l’altra a piedi, comandate da un luogotenente.
Traffico. Si fanno annualmente tre fiere nei dì 22 di luglio, 25 d’agosto, 11 di novembre. Gli abitanti del Canavese sono quelli che vi si recano in maggior numero. I principali oggetti di traffico ne sono il vario bestiame; i lavori in ferro ed in legno fatti nella provincia peruso domestico, per uso dell’agricoltura e delle arti; le stoviglie ricercatissime in Piemonte e nella Lombardia per la loro sottigliezza e proprietà di resistere lungamente al fuoco ed infine le stoffe e le tele d’ogni qualità. Il lunedì ed il giovedì d’ogni settimana sono giorni di mercato. Il primo si tiene nel Piano, il secondo nel Piazzo. Si usano i pesi, le misure e le monete del Piemonte, il saccoperò vi è di 6 emine. Tre volte nella settimana un velocifero corre da Biella a Torino e viceversa. Il velocifero, che da Arona viene a Torino, passava pure per Biella. Tre altre vetture in corso regolarepartono da Biella per Torino nel martedì e vi ritornano il sabbato. In ogni lunedì parte eziandio un’altra vettura per Alessandria, passa per Vercelli e Casale, e fa nel sabbato il suo ritorno. Gli abitanti di Biella sono per lo più robusti, ben fatti della persona, sagaci e molto atti alle scienze ed alle belle arti. Popolazione, compresi i sobborghi, 8089.
Santuario d’Oropa. Da Biella dipende così per le cose temporali, come per quelle che ragguardano al culto divino, il santuario d’Oropa. Una strada dalla città, verso borea, si diparte, comoda eziandio per le vetture, che elevandosi sopra colli ameni per la lunghezza di 4 miglia e 4, conduce a quel santuario posto a piè dell’alto nebbioso monte Mucrone. Lungo la via, a certe distanze, s’incontrano cappelle, in cui più figure di naturale grandezza rappresentano i varii fatti di N. D; e dal santuario sino al prossimo colle aumentandosi il numero di esse,vedesi la più sontuosa, quella cioè dell’incoronazione. Qui va crescendo la dolce sorpresa del viaggiatore devoto. Si perviene al primo cortile del santuario per ombroso viale, nel cui piano veggonsi di qua e di là disposti uniformi palagi per albergarvi gli accorrenti: sono essi a due ordini d’archi sostenuti da doppie colonne di pietra. Si passa da questo in un secondo cortile quadrato, i cui edifizi agguagliano in altezza la chiesa, che sta nel mezzo di due palazzi rimpetto all’ ingresso. Una bellissima fontana sorge dinanzi alla chiesa, la cui facciata è ricca di colonne e di statue; vi sta nel frontone lo scudo di Savoja. L’interno è a tre navate con molte ed assai ornate cappelle. Nel presbitero si conservò la cappella vetusta di ruvidi sassi costrutta: la statua della SS. Vergine col divin figlio in braccio, è di color nero, come quella di Loreto. Hasplendida veste, la corona in capo e il manto coperto di diamanti. Sette lampade d’argento ardono avanti ad essa. La pia tradizione dei biellesi reca che il primo vescovo di Vercelli S. Eusebio venisse a ritirarsi in questa solitudine nel tempo delle persecuzioni degli ariani e che, nel ritorno dall’esiglio, a cui quegli eretici lo avevano condannato, portando seco dall’oriente questa statua e, costruendole in questo luogo un oratorio, ve la collocasse. Vero è che un priorato di benedittini col titolo di S. Bartolommeo, circa il 1000, era quivi fondato, ma in più basso sito. Un’antica cappella, situata forse nel luogo della presente chiesa, era sotto la giurisdizione di quel priorato ed erale assegnata una dotazione pel ristoro de’ pellegrini, che vi concorrevano.Una bolla del pontefice Lucio III nel 1184 fa cenno dei benidi questa cappella e della riunione di essi ai beni del mouisterodel Castelletto. A malgrado di ciò, nel secolo vegnente il vescovo di Vercelli Aimone di Challant, per sopperire alle spese de’ concorrenti forestieri, dovette riunire a quel monistero non pochi legati. S’ignora come i monaci di là si partissero; ma una bolla di Pio II, del 1459, dimostra che la cappella, già divenuta una vasta chiesa, era commessa alle cure dei canonici di Biella. Le terre di questa provincia essendo state manomesse dai francesi nel 1555, è da presumersi che ne fosse danneggiato il santuario; perocchè, cessata la guerra e la fiera peste che ne conseguitò, la saera statua fu rinvenuta quasi sepolta in una grotta del monte sotto due massi di pietra nel 1596; e venne restituita per solenne modo alla primiera sua sede dal capitolo dei canonici e dai consiglieri del comune. Le innumerevoli persone quivi accorse in quella occasione fecero sì che nascesse il pensiero di fabbricarvi l’ampia chiesa presente. Il cardinale Giovanni Stefano Ferrero, vescovo di Vercelli, vi pose la prima pietra nel 1599; il tempio fu recato alsuo termine nel 1600. La prima incoronazione del simulacro venne fatta nel 1620 dal vescovo Giacomo Goria e allora fu che si aperse la presente ampia strada da Biella. Il santuario è uffiziato da un collegio di sacerdoti, di cui è capo triennale un canonico del capitolo della città. Per l’amministrazione temporale nel 1646 vi si stabili una congregazione di quattro canonici e quattro consiglieri della città, ora presieduta dal vescovo. Nel 1820 vi si celebrò con grandiosi apparati la terza secolare festa dell’incoronazione. Fu sorprendente la moltitudine di devoti che vi si recò dal Piemonte, dalla Svizzera e dalla Lombardia. In ogni anno le popolazioni delle circonvicine terre vi si portano processionalmente ed ascende a più migliaja il numero delle persone che vi sono ad un tempo ricoverate in comodi alloggi. Il piano del santuario trovasi a 200 tese di elevazione sopraquello della città. Il culto di N. S. quivi incessantemente accresciuto per lo zelo de’ cittadini fu la sorgente di molti benefatti, di cui fu colmata quella popolazione. Altre volte si vedevano incolte le balze e le valli oropesi: a misura dell’ingrandimento del santuario esse mutarono quasinatura ed aspetto, divenendo ubertose di pascoli acconci a nodrir molte mandre, d’onde nasce l’agiatezza di numerose famiglie. Mancava spesse volte il lavoro agli abitanti dei siti montuosi della provincia e la provvida congregazione del santuario fecevi edificare sul torrente Cervo due sontuose fabbriche per la filatura della seta e per la purgatura dei drappi, nelle quali potessero venir occupati molti operai. Il santuario è posto sotto la special protezione del Re nostro signore, che lo fece esente da ogni dazio e gabella.
Cenni storici. Si hanno in Biella parecchie iscrizioni romane: una di esse, che accenna ad un seviro o decurione augustale maggiore, è riportata dal Mulatera. Il magnifico ben conservato tempietto, che serve in oggi di battistero alla cattedrale, è un monumento di antica romanacostruzione. Il Degregori nella storia della vercellese letteraturane dà il disegno che fecene l’architetto Larini. Di Biella si fa menzione nell’imperiale diploma di Ludovico Pio e Lotario, dell’826, nel quale diploma vien detta Bugella in pago bugellense, in comitatu vercellensi. Dal che si conoscono e il vero suo antico nome e la sua qualità di capo una tribù distinta dalle altre dello stesso vercellese contado. Carlo il Grosso nell’882 la chiama sua grande corte imperiale, curtem nostram magnam, cioè villa principale con giurisdizione su altre ville e corti minori. Ottone II nel suo diploma del 999 accenna che Berengario II e Adelberto re d’Italia diedero al vescovo di Vercelli totum district um bugellense. La stessa cosa confermano i diplomi di Corrado il Salico negli anni 1027 e 1029 e di Arrigo III nel 1059. Col tempo scorrettamente si scrisse Buiella, onde si è fatto Biella in volgare. Nel principio del secolo x i biellesi, per isfuggire gli orrori delle scorrerie degli ungari, si circondarono di mura; e in quelle vecchie carte l’antica chiesa di santo Stefano è rammentata come posita in castro, del quale avanzano pur oggi le sotterranee rovine. Scaduto coll’andar del tempo quel baluardo, il vescovo di Vercelli Uguzione nel 1152 ne fece edificare un altro sul piano della collina. Perciò i canonici della collegiata, che ivi menavano vita comune, in quella età, sulle atterrate mura del vetusto castello i loro ristretti chiostri andarono dilatando. Molti abitanti quindi vennero a stabilirsi nel Piazzo, indotti non tanto dalla maggior sicurezza del luogo quanto dal ricevere dal vescovo il terreno in feudo e non pochi lusinghevoli privilegi. Gli stessi vescovi, ne’ tempi in cui le fazioni agitavano Vercelli, vennero a soggiornarvi come in clima più salubre e in più tranquilla stazione; dal che avvenne che Biella aderi quasi sempre al guelfo partito. Nel principio del secolo XIII trovansi nominati quattro consoli, il primo de’ quali era il Magnus Clavarius, a cui venivano commesse le chiavi del pubblico danaro. Rendevano essila giustizia sotto i portici del Piazzo. Trovasi pure accennato il consiglio di Credenza, che composto era di sessanta tra patrizi e plebei.
Questo popolo, che nel 1245 reggevasi a comune, senza però cessare dall’ essere vassallo del vescovo di Vercelli, aveva i suoi propri statuti. Accadde in questo tempo che il pontefice Innocenzo IV, per rimuovere la città di Vercelli da Federigo II, le cedesse, permezzo del legato Montelungo, i temporali diritti che il vercellese vescovo aveva su questa contea ed opponendovisi il vescovo, che era Martino degli Avogadri signori di Quaregna, dopo inutili sforzi in Vercelli, si fortificò in Biella ed occuponnele terre all’intorno, sostenuto in ciò dalla possente sua famiglia, che nel contado possedeva 24 feudi. Così Biella fu l’asilo di Uberto Avogadro vescovo, allorchè Matteo Visconti, capo de’ milanesi ghibellini, avendolo fatto imprigionare in Vercelli insieme con Simone suo fratello per mezzo di Tizzoni fuggito di carcere in questo suo castello si ricoverò e vi fu dai biellesi difeso nel 1313 contro Guido di S. Martino, che lo assediava. E sebbene i vercellesi volessero racquistar Biella e le terre ad essi dal Montelungo cedute, ciò non di meno Lombardo creato vescovo per opera di Guido Torriani suo fratello, capo de’guelfi in Milano, dacchè questi furono sconfitti, rifuggì appoi biellesi, che nel 1336 impugnarono a sua difesa le armi; ebbe egli pur guerra contro i signori di Masino e di Maglione, finche, dopo il compromesso fatto in Ottone di Azeglio e Giovanni Avogadro di Cerione, si conchiuse la pace coll’ intervento delpontificio legato il cardinale de’ quattro santi coronati. Nel trasferirsi (1544) l’altare presso cui giaceva il suo frale, nella chiesa di santo Stefano, trovossi nel di lui epitafio fra gli altri elogi: Hic bene certavit, Bugellam forti ficavittur ribus et muris. Difatto vestiva egli corazza all’uso di que’ tempi, e rifabbricavale mura di Biella quasi dai fondamenti. Ma contrario trattamento vi ebbe il vescovo Giovanni Fieschi de’ conti di Lavagna genovese, dalla cui soggezione declinarono i biellesi nel 1351 per sommettersi con quei di Vercelli ai Visconti. Questo vescovo oltre a’ suoi castelli di Masserano, e di Zumaglia, ne costrusse un terzo in Andorno. Dopo varie guerre e tregue assistito dalle milizie pontificie comandate da Amedeo conte di Savoja ed intimata indarno la resa, segui la pace nel1373 per la mediazione del conte. Venne per conseguenza licenziato il podestà de’ Visconti e con restrizioni furono ridonatial vescovo i suoi diritti. Le quali restrizioni mentre ei vuoletogliere di mezzo, per una congiura ajutata da ‘ Visconti, l’anno 1377 fu esso imprigionato nella gran torre del castello. Il conte allora s’intromise per la di lui liberazione ed ottenne dai biellesi di averlo egli stesso sotto la sua custodia e gli assegnò per dimora il castello di Mongiovetto in val d’Aosta. La pace ne fu fatta in Verréz coll’ intervento del nunzio pontificio il 25 aprile dell’anno vegnente; a condizione però, che il vescovo si ritirasse in Masserano e deputasse Ibleto di Challant generale del conte, governatore di Biella, di Andorno, di Zumaglia e delle altre terre, in cui egli non potesse più entrare. Il vescovo vendette ad Ibleto il feudo di Andorno a cagione delle strettezze in cui si trovò. I biellesi intanto bramosi di un governo più fermo e di più valida difesa in quelle turbolenze, offersero nel mese di luglio del 1379 la loro sottomessione al conte di Savoja, il quale colbene placito pontificio venne a riceverla in Biella nel dì 27 ottobre seguente. Il conte in appresso fece accordi di pace col Visconti in Biella; questi per Facino Cane suo capitano e quegli per l’Ibleto. Il casato degli Avogadri si sottopose coi biellesi a quel principe per la sicurezza de’ propri feudi da Facino manomessi: lo stesso fecero i Vialardi ed altri feudatari. Il vescovo Ibleto, ultimo de ‘ Fieschi, terminò ogni differenza di sua sede con gli abitanti di Biella nel 1414. Quindi il duca di Savoja, per migliorare la sorte del luogo di Vernate, nel 1423 lo congiunse alla città. Nei primi anni del secolo XIV un grave flagello desolò il biellese per cagione di un certo Dolcino nato in Val d’Osimo nel novarese, iniziato nella setta de’ manichei, di cui un qualche resto ancora vagava nelle valli dell’alta Lombardia e del Trentino. Questi settari erano entrati in Italia dalla Bulgaria nell’undecimo secolo (V. Asti). Dolcino portatosi nelle anzi dette valli, si ammogliò con Margherita Trentina ed ebbe a suo luogotenente un certo Cattaneo della provincia di Bergamo. Scacciati eglino di colà, vennero ad annidarsi nelle vallee tra Gattinara e Serravalle, nelle quali trassero a sè più di quattordici mila persone.Vestiva Dolcino nel predicare l’abito lungo bianco e usava sandali per calzari. La vigilanza del vescovo di Vercelli Raniero degli Avogadri di Valdengo lo espulse da quel nido, d’onde passò in Valsesia; nè gli sforzi di que’ buoni montanari valsero di per sè ad allontanarlo; ajutati però dalle vicine popolazioni spedite dal vescovo e dirette dal podestà di Valsesia, che era dei Brusati di Novara, lo posero in fuga sin nelle terre del milanese, ove pur l’empio trovò mezzo di aver nelle mani quell’esimio podestà, cui fece fra mille strazi morire. Con nuova gente rientrato nel biellese, lo saccheggiò per lo tratto di dieci miglia. Il vescovo allora colla permissione di Clemente V gli bandì contro la crociata. Spogliatosi l’esimio pastore per quell’impresa del dovizioso suo patrimonio, col fior della nobiltà e dei più ricchi vercellesi, alla cui testa era Giacomo degli Avogadri, si mosse con tutti i suoi incontro a Dolcino, il quale si ritirò, menando seco prigioni molti di Mosso e, dopo aver saccheggiato Trivero, si trincerò sul monte Sella. Durarono così fieramente le zuffe, che il vescovo fu costretto amunire il suo campo. Fu però rincalzato l’eretico dall’un giogo all’altro; ed in fine rinserrato in una valle, ove per la penuria di provigioni e pel molto valore de’ cattolici, fu vinto nel dì 13 marzo del 1306. Consegnati al braccio secolare Dolcino, Margherita e Cattaneo co’ principali loro satelliti furono condotti sulla ghiara colà dove il Cervo mette foce nel Sesia presso Vercelli e bruciati vivi il primo di giugno del 1307. Nella quiete che venne dopo la dedizione ad Amedeo VI, vi fiorì il commercio, che si estese in Francia sino a Lione ove fu conceduta ai biellesi la cittadinanza e quindi ebbe forse origine lo scherzoso detto: francesi di Biella.
L’attività del commercio vi fu interrotta per le calamitose guerre del secolo XVI. Emanuele Filiberto però nel 1577 concedeva a Biella un collegio di giureconsulti con autorità di tribunale di prima istanza e Carlo Emanuele la costituiva città, capo di provincia del regno, unendole molte terre staccate dal vercellese, dopo che pose termine alle luttuose lunghe discordie che vi si erano eccitate fra il Piano ed il Piazzo, cosicché si dovette dividere i due luoghi in due comunità separate. La peste venne a desolarla nel 1630 e gli spagnuoli nel 1649 le diedero un saccheggio di 40 giorni dopo avere abbruciata Cossila. Era tuttora questa città, per molte spirituali concessioni, obbligata a ricorrere alla curia di Vercelli 20 miglia distante, perchè le facoltà già date dal vescovo Bonivardo nel 1414 al canonico prevosto della collegiata erano state successivamente ristrette; epperò Carlo Emanuele III concedette a Biella un vescovo proprio nel 1771 con lo smembramento di essa e della sua provincia dalla diocesi di Vercelli, ottenuto da Clemente XIV (1 giugno 1772); e il primo vescovo ne fu il Viancini saviglianese, quivi trasferito dalla sede arcivescovile di Sassari. Vittorio Amedeo III acquistò per l’episcopio lo spazioso palazzo de’ nobili Sapellani, attiguo alla cattedrale. Riunita questa sede a quella di Vercelli sotto il francese governo, fu ristabilita nel 1817 coll’aggiunta d’una parrocchia della diocesi d’Ivrea.
Uomini illustri. Per la santità della vita illustrarono il biellese i beati Giovanni Da Mosso e Agostino di Fango, de’ signori di Castellengo, di cui parlerassi al proprio luogo. La città conserva la memoria di un beato Giovanni, vescovo di Coloeza, in Coloezza. In un antichissimo affresco sulla porta di una piccola casa a destra della chiesa di S. Carlo, su cui leggeva, non è gran tempo, B. Johannes, qui ortus est in domo ista. Il vescovo di Vercelli Matteo ne accenna i miracoli nell’atto del 1410, in cui permette ai domenicani suoi confratelli di edificare in Biella un loro convento. Fiorirono essi nel decimoterzo secolo. Il beato Giovanni Gromo de’ signori di Ternengo di questa città fu arcidiacono d’Ivrea, arciprete di Vercelli, vicario generale della diocesi di Torino, nel 1455 consigliere e primo limosiniere della duchessa Jolanda, o Violante di Savoja, fondatore de’ gerolamiti. Dettò savii consigli, che si sono perduti: corresse il Breviarium Eusebianum del Biandrate, dato poscia alla luce in Vercelli nel 1504; institui col vescovo Bonivardo presso il seminario un collegio detto degli Innocenti, per educare sei giovanetti nel canto e loro diede la propria casa con varii beni. Venne sepolto nella cappella di S. Gregorio del duomo vercellese, da lui edificata. La venerabile suor Maria Vercellone, di famiglia originaria di Sordevolo, nata nel 1610, fu delle prime monache cappuccine stabilite in Torino. La ebbero in molta venerazione la duchessa Cristina e Carlo Emanuele II. Fondò un monastero del suo instituto in Mondovì nel 1659. Cessò di vivere nel 1670 in grande fama di virtù. Per elevatezza d’ingegno e di dignità grandemente si distinse Sebastiano Ferrero figliuolo di Besso, chiavaro di Biella nel 1469, signor di Boriana e di Beatino. Fu consigliere distato e generale di finanze di Carlo II di Savoja (1490) e poscia (1499) di quelle di Milano, Genova ed Asti per lo redi Francia Ludovico XII. Fece scavare il gran canale, che dal Lago maggiore porta le acque a Milano. Promosse l’edizione di Cornelio Tacito a lui dedicata. Vanta il casato Ferreri l’origine sua dagli Acciajuoli di Busca. Si vuole infatti che da Guigliarello Acciajuoli nel 1161 venisse quello Stefano Besso, cui Federico I diede il diploma di nobile dell’impero (1185), nel quale egli è nominato Acciajuolo di Acaja detto de Ferreriis. Il di lui figliuolo Jacopo acquistò in Biella (1240) il molino del castello con giurisdizione. Dal suo fratello Bartolommeo, per cinque generazioni, venne Sebastiano anzidetto, secondo Scipione Ammirati. Acquistò egl Gallianico, altra parte di Boriana, Beatinoe Candelo; Benna, Casal Vallone, Villata, Ponzano, Bioglio, Cossato, Bolgaro ed il marchesato di Bordellano nel cremonese. Fu ambasciadore del duca Filippo a Massimiliano I in Vigevano (1497). Rese fertili molti biellesi tenimenti coi canali derivati dal Cervo edall’Oropa. Fondò la canonica lateranense in Biella; venne decorato dal re di Francia dell’ordine di S. Michele. Si hanno cinque epistole di Leone X a lui indiritte che appalesano la grande stima in che lo teneva quel sommo pontefice. Lo emularono i figli suoi Giovanni Stefano e Bonifacio. Giovanni Stefano era consultato da Francesco I e da molti principi d’Italia; venne noverato dal Tritenio fra gli illustri scrittori: fu vescovo di Vercelli e cardinale nel 1502: morì in Roma (1510). La sua salma fu trasportata in questa anticachiesa di S. Sebastiano. Bonifacio, vescovo d’Ivrea, cardinale nel 1517, legato a latere pel concilio che dove a tenersia Vicenza, stabili in Bologna un collegio, lasciando fondi perché giovani nobili poveri potessero proseguire gli studi e riceverei gradi dottorali. Ne seguirono le orme i loro nipoti Filiberto vescovo d’Ivrea, legato di Paolo III al duca di Savoja, cardinale nel 1549, e Pier Francesco vice-legato di Bologna e cardinale nel 1561. Guido nipote di essi fu vescovo di Vercelli, nunzio a Vinegia, e cardinale nel 1565. Scrisse fra le altre cose il Decretum Gratiani Emendatum. Si fece egli così amare nella sua legazione di Romagna, che vennegli posta in Faenza una lapide nel pretorio. Stabili un seminario di chierici in Giaveno terra principale di sua abbazia di S. Michele. Giovanni Stefano detto il III, educato in Roma dal cardinal Guido, venne in grazia dei papi Urbano VII e Gregorio XIV: fu vescovo di Vercelli e mentre vi ristorava gli studi del clero, ebbe da Clemente VIII le importanti legazioni presso l’imperatore Rodolfo, i re d’Ungheria e di Polonia, ove introdussele discipline del concilio di Trento. Procurò la pace dei veneziani con Paolo V. Di ritorno in patria rianimò la religiosa istruzione del popolo, scrisse la vita di S. Eusebio in buona lingua latina, data alla luce in Roma nel 1602, ed il catalogo dei successori di quel santo. Pose la prima pietra del nuovo santuario d’Oropa. Chiamato da Carlo Emanuele I a consulta in Torino, mancò repentinamente ai vivi l’anno 1610 nell’imminenza del suo cardinalato. La Ferreria prosapia acquistò molti feudi in Piemonte, nel milanese e nello stato pontificio, come i marchesati di Roinagnano, i contadi di Mongrande, di Chianosio e Della – Marmora, Roasio e Sandigliano; infine i marchesati di Masserano e di Crevacuore; perocchè l’ultimo marchese Fieschi Ludovico adottò Filiberto Ferrero, nipote di Margherita Ferrero vedova dell’unico figlio di Giuseppe suo fratello: il quale Filiberto diventò il ceppo de ‘ Ferreri Fieschi stabiliti in Madrid e grandi di Spagna. Di lui nacque Besso, che nel 1554 sposò Camilla Sforza nipote di Paolo III papa, e in seconde nozze Claudia, figliuola di Filippo di Savoja- Racconigi e di Paola Costada Bene. Fu consigliere di stato d’Emmanuel Filiberto e cavaliere della Nunziata. Nella sua gioventù scrisse un poema latino sulle geste de’ Ferreri pubblicato dal Maffonio. Il cardinal Bonifazio ottenne dal pontefice l’erezione di quei marchesati in principato e Besso ebbe da Paolo III il patronato della badia di S. Benigno, cui cedette ad Emanuele Filiberto per l’acquisto di Crevacuore, dopo che si estinse la linea ultima di Pier Luca Fieschi. Fra questi principi si novera Filippo Ferrero Fieschi che fude’ primi grandi, generale, ambasciatore di Spagna al re britannico e mancò ai vivi nel 1777. Da Enrico, minor fratello del sopraccennato Sebastiano, derivò l’altro ramo Ferrerio che rimase in Piemonte ed ebbe titolode’ marchesi Della Marmora, conti di Chianosio: fra questi particolarmentesi notano: Tommaso generale di Savoja, cavaliere della Nunziata nel 1678; Filippo ministro di stato, vicerè diSardegna, ministro all’Aja, Londra, Parigi, plenipotenziario di Vittorio Amedeo III a Geneva, cavaliere della Nunziata; Teresio vescovo di Saluzzo, cavaliere della Nunziata, cardinale nel 1824; Tommaso cavaliere della Nunziata nel 1821; il cavaliere Alberto Sozio della regia accademia delle scienze di Torino, cavaliere del merito civile, autore del Voyage en Sardaigne, ou description statistique, physique et politique de cette ile, avec desricherches sur ses productions naturelles et sesantiquités. Di quest’opera già pubblicò egli in Parigi l’anno 1826 il primo volume, ricco di belle ed importanti notizie. Diede pure allaluce varie dotte memorie di geologia e di antichità.
La famiglia Del Pozzo già antica in Asti nel secolo XII (v.Alessandria, pag.189) venne in Alessandria e ne uscirono quindi tre rami nei tempi delle fazioni civili, i quali rami si stabilirono in Pavia, in Biella ed in Nizza di Provenza. Ebbe Lamberto, o Giamberto come lo chiama il Dati, cardinale nel 1300; Giacomo della linea di Alessandria, arcivescovo di Bari cardinale nel 1553 ed Antonio di lui nipote e successore in quella sede. Fu questi nunzio a Roma.
Il casato Del Pozzo novera eziandio un Antonio, cardinale nel 1325 e nello stesso secolo i commendatori di Malta Simone, Enrico, Giovanni, Bernardo, Bertrando e Ludovico; nel 1413 Antonio gran mastro di Ludovico d’Acaja, nel 1453 un altro Antonio, segretario della duchessa Violante di Savoja, Giacomo figlio di Simone, professore di diritto nelle università di Pavia e di Ferrara, senatore e consigliere dei duchi Carlo, Filippo, Filiberto e della duchessa Bianca: dettò trattati di giurisprudenza, cui molto loda il Panciroli. Francesco figlio d’Antonio conte di Ponderano, marchese di Romagnano, signor di Viverone, consigliere di Carlo III e di Emanuel Filiberto. Cessò di vivere nel 1564. Fu sepolto nella chiesa di S. Domenico con superbo epitafio. Cassiano, minor suo fratello, signore di Reano, distinto così per le arti della guerra, come per quelle della pace; fu ambasciadore di Carlo III all’imperator Carlo V e di Emanuele Filiberto aFrancesco II; si segnalò nel soccorso recato a Nizza assediatadai turchi. Fu primo presidente del senato, scrisse varie aggiunteal Bartolo stampate in Torino, ove mori nel 1586 efu sepolto nella chiesa di sant’Agostino con effigie marmorea ed iscrizione posta da Ludovico figlio di Francesco, che pure fu primo presidente. Le ossa di Ludovico riposano nella stessa chiesa presso l’altar maggiore. Carlo Antonio, figlio di Francesco, conte di Ponderano, studiò in Torino, Mondovì, Pisa, Padova e si laureò in Bologna nel 1566. Siccome grande giureconsulto, venne chiamato a Firenze da Cosimo I, di cui fu auditore di Rota, patrimoniale ed intimo consigliere. Abbracciò lo stato ecclesiastico e sali alla sede arcivescovile di Pisa, ove fondò il celebre collegio per provvedere gratuitamente alla religiosa e scientifica educazione di sette giovani piemontesi nobili e di scarsa fortuna: i quali giovani però debbono essere del biellese o degli Avogadri di Cerione, o di Ponderano, Boriana, Fronzano, Ronsecco, Mongrande, Vestigne, Borgo d’Ales, Santhià, S. Germano, Pozzano, Brandizzo, Strambinello, Reano, Grinzano e Bonvicino. Rifece il duomo incendiato. Morto nel 1607, ebbe tumulo e grandiosa iscrizione nella cappella di S. Giorgio da lui fondata in campo santo postagli dal nipote erede Amedeo figlio di Ludovico. Carlo Antonio lasciò manoscritti De potestate Principis tractatus unus nella laurenziana di Firenze; De feudis nell’archivio di Pisa; De communibus J. C. opinionibus negli archivi di sua famiglia. Il suo nipote Amedeo fu signor grande, maresciallo di Savoja, ministro a Roma, acquistò il principato pontificio della Cisterna nell’Astigiana e per lo maritaggio coll’erede di Doinenico Belli gran cancelliere, i feudi di Grinzano e di Bonvicino. Ebbe inoltre il marchesato di Vogliera, Pisale, Medasino, Menapace, Campofermo, Torre e Villa di Giamone, Salerano e Banchette; i contadi di Ponderano, Reano, Neive, Cambursano e della Briga; la signoria di Vostignè e Pietrafica; fu consignore di Castellamonte, Borsone, Babbino,Cerretto, Guaregna, Boriana, Beatino, Strambinello e Quagliusso; fu cavaliere della Nunziata; morì nel 1644 in Torino, lasciando manoscritti utili trattati d’istoria. Il suo figlio Francesco era generale d’artiglieria. Giacomo figlio di Francesco scudiere di Emanuel Filiberto, cavaliere aureato sul campo di battaglia di S. Quintino, mori in Bruxelles in età di 24 anni: la sua tomba venne posta in S. Domenico di Biella con epitafio. Antonio figliuolo di Cassiano fu professore in Torino di dirittocriminalee quindi consigliere del duca di Toscana nel 1590. Giacomo Maurizio nipote di lui, mastro di campo, governatore di Biella nel 1678, cangiò il marchesato di Voghera, stata dagli spagnuoli occupata nel 1650, in quella di Garressio. Augustofu comandante de’ Paesi-Bassi austriaci, consigliere dell’imperatore; morì nel 1781. Dell’ illustre prosapia degli Scaglia, si notano Bartolommeo, che nel 1358 molto influi come chiavaro nella dedizione di Biella ad Amedeo il Verde; Stefano consigliere e ambasciadore del duca Ludovico a Carlotta regina di Cipro nel 1459; Gerardo figlio di Bernardo consigliere di stato e Stefano senatore fatto conte Palatino dall’imperator Carlo V nel 1528; acquistarono essi Verrua da’ conti di Tenda. Filiberto Gerardo, figliuolo di Alessandro, senatore e consigliere di Emanuel Filiberto: fu assai favorito da Carlo Emanuele I che gli commise ambasciate a Venezia, ai papi ClementeVIII, Leone XI e Paolo V, non che a Filippo III re di Spagna; gli diede anche l’importante carico di conchiudere il maritaggio di Vittorio Amedeo I con Cristina di Francia; fu cavaliere della Nunziata: per lui Verrua venne eretta in contado. Mori in Parigi. Augusto Manfredo, scudiere della duchessa Cristina, generale negli eserciti di Francia e delle truppe del duca, andò ambasciadore a Parigi. Eresse l’altar maggiore della chiesa di S. Tommaso in Torino. Difese per lo spazio di sessanta giorni con molto valore la città di Vercelli, assediata dal Toledo nel 1617, cui non rese se non se per difetto delle polveri. Fu cavaliere della Nunziata nel 1619. Mori col duca Vittorio pochi giorni dopo il convito del Crequi, maresciallo francese, in Vercelli l’anno 1637. Filiberto Alessandro, abbate di Susa, di Staffarda, di Muleggio e di Mondava in Sicilia; fu grande uomo di stato, ambasciadore in Francia, in Inghilterra, in Roma e quindi ministro di Spagna nelle Fiandre; morì in Anversa l’anno 1641. Carlo Vittorio, generale di cavalleria, governatore di Nizza, fu cavaliere della Nunziata nel 1648. Un altro Augusto Manfredo, maresciallo di campo, commissario generale della cavalleriadi Francia, venne ucciso alla battaglia d’Hochstet nel1740. Giuseppe Ignazio, generale di fanteria, governatore di Saluzzo, cavaliere della Nunziata, mori nel 1775. I titoli de’ feudi di questo casato furono conte di Verrua, marchese di Caluso, di Rondizzone, Mosso, Bovilio, Tronzano ed Hermance; conte di Osasco, Brusasco e Mathie; signore di Verolengo e Sessole; barone di Cocconato, Carpeneto, di La-Chapelle, di Cortemiglia, Castino, Brosolo e Macrogno. Da Carlo Emanuele, fratello di Filiberto Gerardo, uscì il ramode ‘ marchesi di Sostegno. I Bertodani patrizi vantano un Pietro capitano di Amedeo II nel 1070 ed un Ubertino capitano di Umberto III nel 1175. E più certo però un Bartodano nel 1215 che diede al casato il nome ed il potere. Pietro governatore d’Ivrea non solamente difese questa città contro Facino Cane, ma lo battè ed inseguì nella fuga, ripigliandogli la torre di Mongrando e Gallianico, di cui il duca Amedeo gli infeudò la terza parte con Tolegnoe Moliano a piè de’ monti d’Andorno nel 1422. Fu creato conte Palatino dall’imperatore Sigismondo nel 1414, ed ebbe l’impiego di chiavaro di Biella nel 1431. Ludovico, ambasciadore di Emanuel Filiberto a Carlo V nel 1525. Giovanni Vincenzo fu in quel tempo cavaliere del Tosoud’Oro; Felice abate di Bessa, vescovo di Mondovì nel 1587, fu distinto diplomatico spedito da S. Pio V al duca di Terra-nuova, governatore spagnuolo di Milano per la pace d’Italia, e quindia Carlo Emanuele I. La famiglia ne conserva manoscritti intorno alle cose di stato ed all’ecclesiastica disciplina. Giovanni Antonio, limosiniere di Vittorio Amedeo I, abbate di S. Benigno, vescovo di Vercelli nel 1696. I nobili Villani nel 1120 ebbero due valorosi capitani, che si trovarono alla crociata sotto il grande Goffredo, chiamati l’uno Cosmo e Simone l’altro. Furono ambidue cavalieri del santo Sepolcro. Mori il primo nel 1130 e venne sepolto nella chiesa di Santa Croce fuor delle mura di Gerusalemme. Mancò l’altro ai vivi due anni dopo; sulla sua tomba posta in un’altra chiesa, distante due miglia dalla città, veggonsi le arine Villani, cioè due bastoni nodati in isbarra. I di lui discendenti possedettero fra gli altri feudi anche Bagnolo d’Ivrea nel 1333, quindi Lessona e Robassomero. I Gromi, patrizi di Biella nel 1415, ebbero un Pietro consigliere ducale, che acquistò Ternengo, fu consignore di Quaregna, Cerretto, Valdengo e Trana, signor di Quarona, Corgniae Tagliero un Bartolommeo che tenne eziandio il feudo di Balocco, fu governatore di Villafranca di Nizza, scudiere della duchessa Bianca di Savoja nel 1498, e quindi dei duchi Filiberto e Carlo. Un Giorgio, eccellente giureconsulto, si stabilì in Ivrea nel 1430. Nella discendenza di lui si contano molti letterati ed in ispecie famosi giurisprudenti: un altro Giorgio, figliuolo di Giacomo, scudiere di Carlo III nel 1528; servì pure Emanuel Filiberto, facendo la guerra di Fiandra a proprie spese; due prove di gran valore alla battaglia di S. Quintino; ed alla pace fu luogotenente generale delle milizie al di là della Dora. Francesco ebbe la carica di generale di finanze nel 1521. Giacomo venne in grido di celebre fisico e Cesare fu vescovo di Aosta nel 1573. Ludovico figlio di Trajano alla testa di due mila biellesi nel 1616 prevenne gli spagnuoli nell’occupazione di Masserano, loro pigliò Crevacuore, di cui il duca gli diede il governo, e pel suo valore nell’assedio di Trino venne rimunerato col feudo di Mussano nel 1632: Paolo limosiniere di Carlo Emanuele II, abbate di Muleggio e di S. Benigno nel 1618, fu personaggio di singolarissima dottrina. I Capri derivano dallo stesso ceppo de’ Gromie conservano l’arma stessa gentilizia, che è un collo e capo di capra. Di essi alcuni si stabilirono nel Delfinato, in Savoja, ed altri in Torino col titolo di conti di Cigliero della Rocca e di Corveglia. Fra quelli stabiliti in Savoja, Caprés o Capré consigliere ducale e mastro camerale de’ conti, stampò in Torino l’anno 1654, per Zappata, il catalogo de ‘ cavalieri della Nunziatasino a Carlo Emanuele II, il trattato di loro origine e la storia della camera de’ conti di Savoja. La prima e la terza opera in lingua francese, la seconda in latino, pubblicata in Lione per Barbier l’anno 1662. Dizion. Geogr. ecc. Vol . II. Stefano patrizio, signor d’Altessano, chiavaro di Biella, succedette a Sebastiano Ferrero nella direzione delle ducali finanze; fu anche consigliere di Filiberto e Carlo III. Gasparesuo figliuolo fu vescovo d’Asti, primo limosiniere di Emanuele Filiberto. Lazzaro di lui nipote fu legato di Bolognae governatore di Civitavecchia nel 1590. Agostino Meschiati agostiniano, di antica e illustre famiglia, autore dell’Exemplar virtutum etvitiorum, libro stampato in molti luoghi o anonimo o col nome di Agostino da Biella. Fiori nel 1486. Il Possevino, il Gavant, ed il cardinal Bonagli attribuiscono la prosa del Dies Irae. Bugella domenicano compose un indice ragionato, alfabetico delle opere di S. Antonino, stampato in Venezia dal Suardi (1503)e dal Lazzaro (1730). Manzone Fabio, primo professore di istituzioni civili nell’università di Torino (1575). Riccardo Pietro, anche professore di leggi nella stessa università (1614); lasciò utili manoscritti. Cauda, o Coda Alessio, professore di medicina (1630). Frichignono Ettore, de’ conti di Quaregna e Carretto, professore di leggi, consigliere di stato, presidente del senato,dettò riputati consulti legali e disse un’estemporanea orazione al supremo magistrato nel 1679. Pietro, fratello d’Ettore, fu come lui professore d’instituzioni civili e quindi avvocato generale ed ambasciadore al re di Spagna. Vercellone Francesco, professore di codice romano (1679) nella stessa università. Mondella Giovanni, discendente dai Mondella, distinti tipografi in Patria (1548), fu senatore patrimoniale ducale, gentiluomo della principessa di Carignano (1650). Triveri Francesco, minor conventuale, fu vescovo d’Andrio, poi arcivescovo di Amalfi. Guelpa Luigi medico, stampò De’ pregiudizi della medicina e delle febbri intermittenti, Vercelli 1803 per Ceretti. Marocchetti Michele, partito da Parigi per la Russia, vi si distinse così che fu aggregato all’imperiale collegio fisico-medicoe fatto chirurgo capo di un ospedale in Mosca: vi pubblicò nel 1820 una dissertazione sopra l’Idrofobia, inserita negli atti di quella medica società ed in appresso un supplimento alla stessa materia, in cui propose lo specifico rimedio della Ginestra lute-tinctoria. Mulatera Gian Tommaso, dotto medico, pubblicò Del magnetismoanimale contro le imposture del Mesmer, Biella 1785 per Cajani : scrisse un trattato del Danno delle risaje ai colli delbiellese, inserito nei volumi della regia accademia delle scienze; lasciò una meteorologia di quarant’anni M. S. Stampò eccellentimemorie storiche di Biella, per Cajani 1778.
Appendice vol. XXVII pp. 486-504
BIELLA; provincia. È compresa nella divisione di Vercelli.
Posizione geografica. Tutta intiera la provincia di Biella è rinchiusa entro i seguenti punti estremi: Punti estremi sulla linea di frontiera
Punti estremi sulla linea di frontiera | Punti trigonometrici | Latitudine | Longitudine | Spazio compreso fra due punti estremi opposti |
Settentrionale | ||||
Punta del Piazzo | Bec d’Ovada | 45° 45’ 45” | 3°47’23” | |
Meridionale | Latitudine 0° 56’15” | |||
Territorio di Cavaglià
ad ostro |
Saluzzola | 44°49’30” | 3°46’00” | |
Orientale | ||||
Motta Alciata sul Cervo | Masserano | Longitudine 0°21’40” | ||
Occidentale | ||||
Col di Bequera | Col di Barma |
Estensione. La superficie territoriale di questa provincia, giusta il censimento del 1859, ascende a 971.44 chilometri quadrati. La sua maggiore lunghezza dalla punta del Pizzo, a borea della Madonna d’Ailoche nel mandamento di Crevacuore sino all’estremità meridionale del territorio di Cavaglià, è di circa 47,000 metri; e la larghezza massima dal torrente Cervo, alevante di Motta Alciata sino al col di Bequera, è di circa 58,000 metri. La periferia, misurata lungo i punti di confine colle adiacenti provincie, dà uno sviluppo approssimativo di 132, 500 metri, come segue:
metri | |
1. Limiti settentrionali colla Valsesia dal col di Molera seguendo la cresta dei monti sino al Sesia fra Crevacuore e Borgosesia | 27.000 |
2. Corso del Sesia fin sotto a Vintebbio, dirimpetto al comune di Prali (confini colla provinciadi Novara) | 10.000 |
3. Dall’anzi detto punto sino ad ostro del lago di Viverone (confini colla provincia di Vercelli) | 50.000 |
4. Dalla punta meridionale del lago Viverone sino al col di Bequera (limiti colla prov. d’Ivrea) | 31.000 |
5. Dal col di Bequera a quello di Molera (limiti col ducato d’Aosta) | 14.500 |
Totale dello sviluppo | 152.500 |
Confini. La provincia di Biella confina: A tramontana. Colla Valsesia dal col della Molera sino al Sesia. I punti principali su questo limite sono: il col della Molera, la punta ed il colle della Grande Mologne, il col de la Croix, la cima del Bo, la cima del Grosso, la punta ed il passo Boscarola, la colletta di Valfinale, il monte Rese, il col della Balma, il monte Pizzo, le giogaje di Roncole sino al torrente Sessera, il breve corso di questo torrente al dissotto di Guardabossonesino alle sue foci nel Sesia. A levante. Colla provincia di Vercelli, seguitando il Sesia lungo i limiti biellesi dei comuni di Bornate, Serravalle, Piane e Vintebbio. A mezzo di. Colla stessa provincia di Vercelli dal Sesia al lago Viverone. I comuni del Biellese limitrofi con quelli del Vercellese sono: Brusnengo, Masserano, S. Giacomo, Castelletto, Motta Alciata, Villanova, Arrò (frazione), Cavaglià e Roppolo. A ponente. 1.° Colla provincia d’Ivrea, rimontando dal lago Viverone al col di Bequera. I luoghi e comuni limitrofi con questa provincia sono: il lago di Viverone, Zimone, Magnano,Torrazzo, Donato, tutto il contrafforte che domina il torrente Viona sino alle sue sorgenti, l’alpe del Moschetto, la comba di Mombarone ed il colle di Bequera. 2.° Colla provincia d’Aosta dal col di Bequera al col di Molera, toccando i punti segnati a pag. 230 n° 2 dell’Appendice. Natura del suolo. Il terreno di questa provincia, la quale perriguardo alla sua condizione topografica è 0,429 piana e 0,571montuosa, nella pianura è pressochè tutto alluviale, salvo qualche porzione fra Cossato e Masserano, nella valle di Strona, ove passa al terziario superiore; le montagne sono generalmente formate di terreno primitivo. Questa provincia presenta 11,547 ettari di superficie incolta. Il terreno coltivato dividesi come segue:
ettari | |
Terre arative con o senza vigne ettari | 24,659 |
Vigne sole | 614 |
Prati naturali ed artificiali | 12,884 |
Orti | 289 |
Risaje | 2,055 |
Boschi di castagne | 7,935 |
Pascoli | 30.551 |
Produzioni. Per riguardo ai prodotti vegetabili dà ogni anno approssimativamente:
Frumento | ettolitri | 35,565 |
Barbariato | “ | 855 |
Segale | “ | 35.776 |
Frumentone | “ | 121,380 |
Marsaschi | “ | 3,624 |
Patate | “ | 26,160 |
Barbabietole ed altre radici | “ | 60 |
Canapa, lino | quint.met. | 5,556 |
Vino alteni | ettolitri | 71,940 |
Vino vigne | “ | 10,458 |
Foglia di gelso | quint.met. | 9.000 |
Riso | ettolitri | 20,530 |
Castagne | “ | 79,550 |
Ortaggi | q.m. | 10,155 |
Foraggi | “ | 386,520 |
Legna | m.c. | 29,436 |
Pascoli | q.m. | 315,830 |
I prodotti animali si calcolano:
capi | |
Bestiame bovino | 28,583 |
Id. cavallino | 3.278 |
Id. pecorino e caprino | 25,726 |
Id. porcino | 8,286 |
Il valore annuo approssimativo dei prodotti minerali è computato:
l. | |
Calce | 150 |
Pietra da taglio | 20.000 |
Totale | 20.150 |
Correnti d’acqua. Fra i torrenti che solcano la provincia di Biella si notano come principali:
1.° Il Cervo, il quale nasce dal laghetto della Veggia o Vecchia presso il col delle Molere sui limiti di questa provincia con quella di Aosta, scorre per la valle d’Andorno, s’ingrossa di parecchi rivoli che scendono dalle adiacenti montagne ed accoglie sulla destra il torrente Oropa, il quale scaturisce dal lago Mussone o Mucrone superiormente al Santuario d’Oropa e vi mette foce presso Biella, bagnando colle sue acque le mura della città. Il Cervo scorre poscia a Candelo ed è ingrossato inferiormente a Castellengo da altri torrentelli, fra cui primeggia lo Strona, il quale scende dalle montagne di Mosso S. Maria superiormente a Camandona, dalla Bocchetta di Dojech, accogliendo ad ostro di Cossato molti altri influenti, fra cui il Chiebbia ed il Guargnasca, che provengono dai colli di Pettinengo e Bioglio. Ripigliando quindi il Cervo la direzione discirocco, esce fra Motta Alciata e Castelletto dai limiti di questa provincia ed entra nel Vercellese, ove bagna le terre di Buronzo, Balloco e Formigliana; accoglie sotto a Collobiano l’Elvo, sotto ad Oldenico il Roasenda già ingrossato presso Villarboit della Bastia, e dopo un corso di circa 50 miglia di Piemonte sbocca nel Sesia presso a Caresana-Blot superiormente a Vercelli. Tanto dal Cervo quanto dall’Oropa derivano molti canaliche servono a fecondare le sottoposte campagne, fra i quali notiamo specialmente: 1.º il Benna, 2.º la roggia di Candelo, 3.º la roggia Marchesa, che scorre verso Gifflenga, 4.º la roggia Berzetti, che bagna Formigliana, 5.º quella derivata presso Busonengo, che scende a Collobiano nell’Elvo.
2.° L’ Elvo; questo torrente ha origine da due laghetti posti superiormente al colle di Barma s’ingrossa di tutte le acque che scendono dai monti Mars, Montagnette, Caresay e Bequera, nonché dei torrentelli Frigagna, Viona ed Oremo, i quali provengono dai balzi di Graglia e di Pollone e si riuniscono presso Mongrando; irriga le campagne di Sordevolo, Occhieppo superiore ed Occhieppo inferiore; accoglie a Cerrione l’Ollobia, bagna Salussola, S. Damiano e Collobiano, ove mette nelCervo. L’Elvo percorre un terreno che passa dallo scisto micaceo-quarzoso a quello di alluvione e forma una valle che si va allargando sulla sua riva sinistra, spiegandosi a scirocco di Mongrando. Parecchi canali d’irrigazione derivati da questo torrente servono a fertilizzarne le adiacenti pianure dal lato orientale, mentrechè dal lato occidentale va diradandosi in colline di poca elevazione, che si perdono affatto tra Salussola e Cavaglià. Notisi per altro che la valle propriamente detta dell’Elvo ha poche miglia di estensione, principiando essa alle falde meridionali del monte Mars e terminando fra Mongrando e Borriana. Fra i canali che si derivano dall’Elvo possiamo qui annoverare: Sulla riva sinistra: 1.° la roggia Fausano nel territorio di Vergnasco e Magnonevolo; 2.° la roggia Canapati, che passa per Bastia ed Arro, attraversa il naviletto Masino e si unisce alla roggia Sampietro sboccando a S. Damiano; 3.º la roggia Sampietro ora detta; 4.° il naviletto Masino a levante d’Arro; 5.° il naviletto Berzetti, che deriva dal canale di Cigliano a levante di Carisio, attraversa mercè di un acquedotto l’Elvo e volge a Gifflenga; 6.º la roggia Casanova (nel Vercellese) che bagna le terre del luogo onde prende il nome, sorte dall’Elvo e rientra in esso. Sulla destra dell’Elvo si diramano: 1. ° la roggia del Pianepresso Salussola; 2. ° il nuovo regio canale detto di Roasenda o di Baraggia; 3.° il naviletto della Mandria di Santià (nel Vercellese), che deriva dal navile d’Ivrea a scirocco di Borgo, scorre dappoi a tramontana per le terre della Mandria, entra nell’Elvoe si unisce poscia al naviletto di Masino già detto; 4.° il canale di Cigliano (nel Vercellese ), che viene a sboccare sotto a Carisio; 5. ° la roggia Cavallirio, che passa a Carisio e Nebbione; 6.º la roggia Molinara; 7.º la roggia Marchesa; 8.° la roggia Vettignė; 9.º la Casanova di riva destra; 10.° laroggia Porta; 11.° la roggia Prima di Quinto; 12.° la roggia Seconda di Quinto e 13.° il roggione di Vercelli. Lungo il corso dell’Elvo si pescano pagliuzze d’oro, il quale è ordinariamente al titolo di 900/1000.
5.° Il Sessera; questo torrente nasce alle falde meridionali della cima del Bo presso il colle delle Combette, scorre tortuosamente fra alte montagne in direzione da ponente a levante; s’ingrossa di parecchi rivi, nonchè dei torrentelli Dolcae Stronella, i quali scendono il primo dal monte Rese e dalla cima Boscarola, il secondo dal Mombarone e dalla cima del Pizzo e dopo aver bagnato Crevacuore e segnato per alcun tratto i limiti colla Valsesia mette capo nel Sesia presso Bornate.
Laghi. I laghi principali di questa provincia sono: il lago diViverone, quello di Roppolo, il lago Bertignano, all’estremità dei colli della Serra, superiormente a quello di Viverone verso tramontana; il Mucrone alla sorgente dell’Oropa; quello dellaVeggia in capo alla valle d’Andorno alle fonti del Cervo, e quello dei Tre Vescovi presso la pointe des trois Evêches.
Canali. Il primario dei canali che vi scorrono si è il navi-lotto della Mandria o di S. Damiano, proveniente dalla Dora, il quale entra nella biellese provincia sui limiti meridionali di Cavaglia. Vengono dopo la roggia Marchesa e la roggia Serravalle, derivanti l’una dal Cervo e dall’Elvo l’altra, le qualiservono a fecondare le risaje biellesi, producenti ogni annocirca 20,550 ettolitri di riso.
Montagne. Nella provincia di cui parliamo s’innalzano erte montagne a settentrione, poggi più depressi a ponente e ridenti colline a levante, essendo affatto piana la parte meridionale. Le giogaje dominanti la parte di tramontana sono una diramazione terziaria della pendice meridionale delle Alpi Pennine, posta tra il Sesia, il Lys e la Dora Baltea; di quel ramo cioè, che dalle falde del monte Rosa cala al mezzodì fino alla sorgente del Cervo, ove dalla punta de la Grande Mologne dividesi in due contrafforti principali che sono: 1. ° quello che volge nella direzione di mezzodì tra Ivrea e Biella, seguendole cime indicate a pag. 230 N.° 2 dell’Appendice, e prolungandosi poscia dal col di Bequera lungo la serra sino a posare tra il lago Viverone e Cavaglià. Da questo contrafforte poi staccansi i vari rami fra il Cervo, l’Oropa, l’Oremo, l’Elvo, il Viona, l’Ollobia ed il lago Viverone; 2. ° il contrafforte che dalla cima de la Grande Mologne volge dapprima a levante, toccandole cime del Bo, del Grosso, la punta Boscarola, la cima del Pizzo ed il Bec d’Ovada fin verso Varallo; i quali due ultimi già escono dai limiti di questa provincia. Da questo secondo contrafforte dipartonsi nella direzione di scirocco i rami fra il Sessera, il Cervo ed i loro influenti. Fra le montagne di questa provincia primeggiano le alte cime de la Grande Mologne, la pointe des trois Evêches, quella dei due Gemelli, la punta Chepareille, il Bec di Vallir, il monte Crest, la punta Pierre Blanche, la Ley-Long, quella di Barma, il col della Balma d’Oropa o Monte Mucrone (alto metri 2529), il Santuario d’Oropa (metri 1250), il monte Cornera, la Colmadi Mombarone (metri 2422), il Mombarone (metri 2055), lacima del Bo ed altre di minor conto.
Acque minerali. In questa provincia esiste una sola sorgente d’acqua minerale, cioè quella dell’acqua solforosa di Zubiena. Quest’acqua scaturisce perennemente appiè di una collina chesorge presso la borgata detta La Riviera, compresa in queldistretto comunale (vedi Zubiena).
Mandamenti. La provincia di Biella componesi di dodici mandamenti, i quali comprendono novantacinque comuni; eccoli:
- Mandamento. Capoluogo Biella; comuni soggetti: Chiavazza,Cossila, Ponderano, Pralungo, Tolegno .
- Id. Bioglio; com. sogg. : Pettinengo, Piatto, Ronco, Ternengo, Vallanzengo, Valle S. Nicolao, Zumaglia.
- Id.Cacciorna-Andorno; com. sogg.: Callabiana, Campiglia, Miagliano, Piè di Cavallo, Quittengo, Sagliano, S. Giuseppe, S. Paolo, Selve, Tavigliano.
- Id. Candelo; com. sogg. : Benna, Castellengo, Gaglianico, Massazza, Mottalciata, Sandigliano, Verrone, Villanova.
- Id. Cavaglià; com. sogg. : Dorzano, Roppolo, Viverone.
- Id. Cossato; com. sogg: Casapinta, Ceretto, Crosa, Lessona, Mezzana, Quaregna, Soprana, Strona, Valdengo,Vigliano.
- Id. Crevacuore: com. sogg. : Ailoche, Bornate, Caprile, Flecchia, Guardabosone, Pianceri, Piane, Postua, Serravalle,
Sostegno, Vintebbio.
- Id. Graglia; com, sogg.: Donato, Muzzano, Netro, Occhiepposuperiore, Pollone, Sordevolo.
- Id. Masserano; com. sogg.; Brusnengo, Castelletto del Cervo, Castelletto-Villa, Curino.
- Id. Mongrando; com. sogg.; Borriana, Camburzano,Occhieppo inferiore, Sala, Torrazzo, Zubiena.
- Id. Mosso S. Maria; com, sogg.: Camandona, Coggiola, Croce di Mosso, Pistolesa, Portula, Pray, Trivero, Valle inferiore, Valle superiore, Veglio.
- Id. Salussola; com. sogg : Cerrione, Magnano, Zimone.
Diocesi. La diocesi di Biella venne eretta con bolla pontificia del 1° giugno dell’anno 1772 ad istanza del re CarloEmanuele III (vedi vol. II, pag. 317 e 318).
Comprende 112 parrocchie. S. Stefano ne è il santo titolare. Dalla sua origine sino all’anno 1855 novera 5 vescovi. Il vescovato di Biella è suffraganeo dell’arcivescovato di Vercelli.
I beni del clero (patrimonio proprio) in istabili si calcolanodel valore di L. 126,659.50.
Università israelitiche. Gli israeliti hanno in questa provincia una sola università minore sedente in Biella.
Istituti di pubblica beneficenza. Gli istituti pii cui, giusta la statistica ufficiale del 1841, furono applicate le regole dell’editto 24 dicembre 1856 sono in numero di 76 e la loro rendita complessiva ascende a lire 97,249.11. Ecco i comuni in cui questi istituti si trovano e la denominazione di essi istituti colle loro ordinarie entrate: Biella. Ospedale degli infermi, L. 51,580.87; Ospedale di carità, L. 11,658.48; Orfanotrofio, L. 14,795.15; Monte di pietà, L. 2292.08; Congregazione di carità (sobb. del Vandorno), L. 219. Ailoche. Congregazione di carità, L. 92.80. Bioglio. Id., 8. Borriana. Id., L. 45.60. Cacciorna. Id., L. 1001.94.Camandona. Id., L. 57.10. Camburzano. Id., L. 344.88. Campiglia. Id., L. 217.21. Candelo. Id., L. 2079.44. Caprile. ercelloneId.,L. 30. 50. Castelletto-Cervo. S. Tommaso. Id., L. 182.70.Monastero.Id., L. 250. Cavaglià. Opera pia V ed Ospedale degli infermi, L. 7959.24; Congregazione di carità, L. 518.42.Cerrione. Id., L. 424.20. Chiavazza. Id., L. 16. Coggiola. Id., L. 214.57. Cossato. Id., L. 554. Cossila. Id., L. 75.54. Crevacuore. Id., L. 197.50. Croce-Mosso. Id., L. 184.57. Curino. Id., L. 240.55. Donato. Id., L. 968.13. Dorzano. Id.,L. 695.78. Flecchia. Id., L. 256.10. Graglia. Id. L. 690.52.Guardabosone. Id., L. 51.50. Magnano. Id., L. 522.57. Masserano. Ospedale di S. Carlo, L. 1144. Miagliano. Congregazione di carità, L. 30. Mezzana. Id. L. 65.11. Mongrando. S. Maria. Id., L. 468.83. S. Rocco. Id., L. 114. S. Spirito. Id., L. 555. 81. Mosso S. Maria. Ritiro delle figlie, L. 456; Scuola pubblica, L. 586.90; Congregazione di carità, L. 1505.86. Muzzano. Congregazione di carità, L. 864.07. Netro. Id., L. 1421.81. Occhieppo inferiore. Id., L. 398.12. Occhieppo superiore. Id.,L. 1057. 60. Pianceri. Id., L. 110. Piane. Id. L. 161.42. Piedicavallo. S. Michele. Id., L. 22; S. Pietro. Id., L. 155.58. Pollone. Id., L. 13.55. Ponderano. Id., L. 125.58. Postua. Id., L. 16.95. Pralungo. Id. L. 154.90. Quittengo. Id., L.555.12. Ronco. Id., L. 422. Roppolo. Piano. Id., L. 147; Superiore. Id., L. 177. Sala. Id. L. 105. Salussola. Id. L. 1902. Sandigliano. Id., L. 112.50. S. Giuseppe. Id., L. 65. S. Paolo. Id. L. 247.55. Serravalle. Id., L. 555.22. Sordevolo. Id., L.2302.06. Sostegno. Id., L. 201.85. Tavigliano. Id., L. 419.12.Tollegno. Id., L. 50. Trivero. Id. (capoluogo), L. 349.60; id.(frazione di Bugliana), L. 65.54; id. (frazione di Prativero), L.45.80. Valle inferiore. Id., L. 556.27. Veglio. Id. L. 565.17. Vintebbio. Id. L. 31. 85. Viverone. Id., L. 460. Zimone. Id.,L. 47.50.Zumaglia. Id. L. 225.50.
Gl’istituti pii eccettuati dall’anzidetto editto sono in numero di 5 e le loro rendite complessive ascendono a L. 884.86. Da statistiche parimente ufficiali risulta che gl’istituti pii della provincia di Biella nel 1845 sommavano a 77, colla rendita ordinaria di lire 104,077. 65; e che nell’anno 1852 ascendevano al novero di 89, coll’aumento di 12, e la loro rendita ordinaria di lire 110,719. 12, con un aumento di lire 6641. 49.
Asili infantili. I comuni di Biella, Cavaglià ed Occhieppo necontano un ciascuno.
Istruzione pubblica. Nella provincia di Biella esistono otto istituti d’istruzione secondaria, in due dei quali, cioè nel Collegio regio di Biella e nel Collegio pubblico di Masserano, s’insegnasino alla filosofia inclusivamente; negli altri istituti, fra i quali nominiamo il Pensionato d’Andorno-Cacciorna ed il Pensionato di Cerrione, s’insegnano una o più delle classi inferiori.
Le scuole elementari sono in numero di 172, delle quali 125maschili e 50 femminili sono pubbliche e 6 maschili ed 11 femminili sono private.
L’istruzione degli abitanti (an. 1848) n’è come segue: maschi non istruiti nel leggere e nello scrivere 25,602, istruiti soltanto nel leggere 6,008, istruiti nel leggere e nello scrivere 34,313; totale 65,923. Femmine non istruite nel leggere e nello scrivere 45,674, istruite soltanto nel leggere 8,933, istruite nel leggere e nello scrivere 10,161; totale 64,768.
Industria. La provincia di Biella è una delle più industriose dello Stato: conta essa varie manifatture di oggetti metallici, lanifizi e fabbriche di stoffe diverse (vedi vol. II, pag. 302 e segg.),i cui lavori sono eseguiti con grande perfezionamento. Ma ciò che maggiormente ferma l’attenzione degli stranieri e degli stessi nazionali sono i tanti oggetti di tarsia, che escono dalle manifatture in legno, nel loro genere così finiti e non comparabilia quelli che ci vengono da altri paesi. È curioso il vedere con quanta maestria i legnajuoli, i tornitori e gli stipettai biellesi sanno trarre il miglior utile del materiale per mobili,utensili domestici e di lusso; e quanto sia ingegnoso il modo con cui certi boscajuoli di Camandona sanno impiegare il legname dei faggeti per far culle, rastrelli, gioghi, bigonce,stacci, manichi, mantici, ordigni per filatoi da lana e da seta,stecconi, foderi, cavastracci d’artiglieria ed altri svariati oggetti.
Commercio. Il commercio di questa provincia, sperasi, verrà di molto agevolato dalla ferrovia che si sta costruendo, la quale sarà quanto prima condotta a termine ed aperta al pubblico. Oggetti di esportazione ne sono l’olio di noce, i vini, le castagne, le tele di canapa, i ferri lavorati, i mobili dilegno ecc. Sono al contrario oggetti d’importazione le granaglie che si tirano in gran copia dal Vercellese, i generi coloniali, gli oli d’olivo ec. dal Genovesato, i formaggi dalla Svizzera e le chincaglierie da Torino. Le lane straniere che vengono annualmente importate pei lavori delle officine aumentano al valore di lire 1,700,000; i panni lavorati che vengono esportati superano un valore di lire 3,400,000. Ecco la tabella delle fiere e dei mercati che il Governo concedette fino all’anno 1852 ai varii luoghi di questa provincia affine di vie maggiormente attivarne il commercio.
COMUNI | N° delle fiere | EPOCA in cui si fanno e loro durata | GIORNI in cui tengonsi i mercati |
Biella | 3 | 22 luglio – 25 agosto – 11 novembre (le due seconde per giorni otto) | Lunedì e Giovedì |
Bioglio | 2 | Terzo mercoledì d’aprile – terzo mercoledì d’ottobre | Sabbato |
Cacciorna | 1 | Ultimo martedì d’aprile | Lunedì |
Candelo | 1 | 27,28 luglio | |
Cavaglià | 3 | 1 maggio – 20 agosto – 11 novembre | Mercoledì |
Cossato | 1 | 16 agosto | Idem |
Crevacuore | 2 | 17 agosto – 8 ottobre | Sabbato |
Graglia | Mercoledì | ||
Masserano | 3 | Terzo mercoledì di giugno – l’ultimo mercoledì di luglio – l’ultimo mercoledì d’ottobre | Idem |
Mongrando | 2 | Primo mercoledì di giugno – ultimo martedì d’ottobre | Martedì |
Mosso S. Maria | 2 | 16.17.18 agosto – 4 ottobre | Lunedì |
Quittengo | 2 | Mercoledì | |
Sagliano | 1 | 12. 13. 14 ottobre | |
Salussola | 2 | 25 maggio – 23 settembre |
Popolazione. Gli abitanti della biellese provincia secondo il censimento dell’anno 1848, sono in numero di 130,691, dicui 65,925 maschi e 64,768 femmine. Vi si contano cattolici 130,628, accattolici nessuno, israeliti 63. Le case ne sono 21,574 e le famiglie 27,904.
I fabbricati soggetti alla legge d’imposta 31 marzo 1851 ascendono al novero di 7161, di cui 5831 fabbricati ordinari e 1310 opifizi. La rendita netta decretata ne è di lire 376,922. 46. La popolazione nell’anno 1858 non era che di 128,025 abitanti, i quali sessantaquattro anni prima sommavano a soli 102,716.
I militi della Guardia nazionale in servizio ordinario sommano a 10,303, nella riserva 7,717; totale 18,020. Gl’inscritti della leva militare ordinaria (an. 1853) sono innumero di 1363; i contingenti di prima categoria 552, i contingenti di seconda categoria 84; totale 336. Statistica medica. I sordo-muti ricoverati od ammessi negli stabilimenti dello Stato (an. 1841) sono in numero di 7.
I pazzarelli ricoverati negli stabilimenti dello Stato nel decennio 1828-57 ascendono al novero di 63, di cui 41 maschi e 22 femmine. I trovatelli rimasti ed entrati negli ospizi dello Stato nel decennio 1828-37 sommano a 723, dei quali 356 maschi e 367 femmine, tutti illegittimi.
I vaccinati dall’anno 1819 al 1848 montano a 56,805.
I suicidi e tentativi di suicidio dall’anno 1825 al 1859 ascendono complessivamente al novero di 21, di cui 19 consumati.
Il personale sanitario trovasi (dicembre 1849) come segue: Dottori in medicina 28, dottori in chirurgia 13, dottori esercenti le due facoltà 26, chirurghi approvati 13, flebotomi 7, levatrici 2, farmacisti 54.
BIELLA; mandamento. Sta nella provincia del suo nome. Questo mandamento, che colla sua capitale occupa pressochè il centro della provincia, ha per limiti: a tramontana i mandamenti di Andorno e di Bioglio, a levante quello di Cossato, a mezzo di Graglia, Mongrando e Candelo ed a ponente parte delle terre di Graglia e di Andorno.
Questo distretto mandamentale, attraversato nella direzione da maestro a scirocco dal torrente Cervo coll’Oropa, ha una superficie di chilometri quadrati 64.79. Le montagne di Oropa e quelle della valle di Andorno si adergono ai lati del torrente e danno ricchezza alla posizione territoriale.
Novera una popolazione di 17,068 abitanti, 2478 case e 5440 famiglie.
Sei comuni compongono questo mandamento, i quali sono: Biella, capoluogo, Chiavazza, Cossila, Ponderano, Pralungo eTolegno.
BIELLA; città. Questa città vescovile, capoluogo della provincia e del mandamento del suo nome, siede sulla destra del Cervo, in distanza di chilometri 75 a greco dalla capitale.
È situata parte sur un colle e parte al piano, onde distinguesi in Biella alta e Biella bassa. La parte alta sta a metri 450 sopra il livello del mare ai gradi 45°55′50″ di latitudine boreale ed alli 5°45’50” di longitudine orientale.
Evvi una stazione del telegrafo elettrico.
Strade ferrate. Una ferrovia, la quale muovendo da questa città sbocca per Candelo e Salussola a Santhià nella via ferrata che da Torino per Vercelli tende a Novara, trovasi omai condotta a compimento e verrà quanto prima aperta al pubblico esercizio. La ferrovia di Biella, lunga 28 chilometri e da costruirsi giusta i disegni dell’ingegnere Realis, venne concessa ai signori
Feroggio, Crida e Comp. sotto condizioni pressochè simili a quelle della via ferrata di Vercelli a Valenza per Casale (vedi la nota a pag. 352 dell’Appendice).
Avrà quattro stazioni nei luoghi di Biella, Candelo (4 chilometrida Biella) , Salussola (16) e Santhià (28). Questa strada, mettendo in comunicazione una delle più industri provincie dello Stato colla ferrovia da Torino aNovaraper Vercelli, contribuirà potentemente allo sviluppo industriale del paese.
Collegio elettorale Biella è anche capo di circondario elettorale e conta due collegi, di cui uno comprende sei comuni con 344 elettori inscritti, l’altro comprende venti comuni con 425 elettori inscritti.
Istruzione pubblica. Per riguardo all’istruzione pubblica dobbiamo aggiungere che fu, anni sono, aperta in Biella una scuola d’arti e mestieri instituita da una privata società esussidiata dal Governo, dalla quale scuola i biellesi traggono grandi vantaggi. Questa stessa privata società fondò in appresso nel luogo di Sandigliano un instituto agrario per dare un corso teorico pratico d’agricoltura, al quale è anche annesso l’insegnamento della contabilità a partita doppia e del disegno lineare, chiamando via professore un riputato allievo del celebre instituto di Grignon, il sig. Edoardo Leconteux (1) e promosse (an.1841) un’esposizione dei prodotti industriali del Biellese, la quale, comecchè la prima, riuscì bellissima (1) Il sig. E. Leconteux è autore dell’opera intitolata :Traité élémentaire de l’agricolture du département de la Seine: ouvrage couronné par la Société Royale et centrale dans la seancedu 26 avril 1840. Paris, L. Bouchard-Huzard libraire, 1840. Per la quantità degli oggetti posti in mostra, tutti qual più, qual meno meritevoli di speciale attenzione e di lode. La società d’incoraggiamento di Biella diede così un nuovo ed imitabile esempio di ciò che può meglio fecondare fra noi il grande albero dell’industrianazionale, fonte di felicità e di ricchezza tanto pubblica, quanto privata.
Popolazione. Gli abitanti di questa città, secondo l’ultimo censimento (1848) sommano a 8596; le case ne sono 885 e le famiglie 1745. Nell’anno 1774 la popolazione, che n’era di soli 8259 abitanti, saliva nel 1858 a 8677.
Guardia nazionale. I militi della guardia nazionale in servizio ordinario sono in numero di 723, nella riserva 400; totale 1123. Ci piace qui ricordare a titolo di onoranza che la guardia nazionale di Biella, avendo reso sul principio del corrente secolo importanti servigi al paese, fu dal Governo provvisorio di allora dichiarata benemerita della patria ed in ispecial modo ricompensata (vedi pag. 263 e seg. dell’Appendice).
Epoca storica. Biella un tempo compresa nell’agro vercellese venne dichiarata capo di provincia nell’anno 1626 .
Famiglie nobili. Di alcune delle principali famiglie nobili di questa città, come sono quelle dei Gromo, dei Ferreri, dei Dal-Pozzo, degli Scaglia, dei Bertodani, dei Villani e dei Capri, già parlammo nel Vol. II, pag. 9 e seg., qui adunque accenneremo soltanto quelle di cui ancora non tenemmo discorso.
I Caroli o Decaroli, furono dichiarati nobili di Biella nel 1456 dall’imperatore Sigismondo, per i servigi resi all’impero da Taddeo di questa famiglia. I Caroli ebbero origine da un Giovanni di Dronero (vedi Vol. VI, pag. 286), e si divisero col tempo in più rami, di cui uno rimase in Dronero, un altro fiorì in Biella, un terzo in Saluzzo ed uno traslocossi a Grenoble nel Delfinato (vedi Vol. XVII, pag. 745): ora però questa famiglia si è estinta. Essa novera i seguenti personaggi insigni: Agostino, capitano d’uomini d’armi al servigio del re diFrancia Carlo VIII nelle guerre d’Italia, a nome del quale fu governatore di Cremona.
Gioffredo, fratello di Agostino, dottore in leggi, fu dal marchese Ludovico II nominato podestà di Saluzzo e di Carmagnola e poscia dal medesimo mandato in Francia a sostenere i suoi diritti sul Saluzzese marchesato contro Carlo Duca di Savoja ed ottenutane la restituzione, lo nominò suo consigliere e vicario. Andò quindi con Domenico di Montiglionella Guascogna allo scopo di conchiudere il matrimonio di quel Marchese con Margarita, sorella di Gastone di Foix. Carlo VIII re di Francia nel 1494 lo nominò consigliere nel parlamento di Grenoble e Ludovico XII lo innalzò alla dignità di presidente del senato di Milamo e custode del ducale sigillo. Allora quando i veneziani vollero tentare di impedirele guerresche imprese di Ludovico, Gioffredo venne da lui mandato presso varii principi d’Italia e di Germania per indurli a formare una lega contro i veneziani. Il Bembo, narrando lo zelo con cui il Gioffredo compiè questa sua missione, ne adduce per causa l’odio che egli aveva concepito contro i veneziani perchè avevano condannato a morte il celebre capitano conte Francesco Carmagnola.
I Ferraris: questa biellese nobile famiglia traslocossi in Austria e produsse i seguenti insigni personaggi: Bernardo Gerolamo, cavaliere Gran Croce dei SS. Maurizio e Lazzaro, intimo consigliere e gentiluomo di camera di Sua Maestà Cesarea e primo ministro di corte della regina di Polonia Eleonora: fece acquisto del feudo di Occhieppo con titolo comitale: morì nel 1691. Giambattista, gentiluomo di camera dell’Imperatore e suo intimo consigliere: venne creato Presidente del consiglio di Inspruk, nella qual città fondò a proprie spese e dotò un monastero di Orsoline. Tommaso fu senatore nel consiglio di Inspruk. Ludovico, consigliere e gentiluomo di camera dell’Elettore di Treveri e poscia ministro del duca di Lorena. Ferdinando, figlio del precedente, fu paggio alla corte del duca di Lorena e si recò al seguito della regina Teresa Elisabetta terza moglie del re Carlo Emanuele che lo nominò suo paggio d’onore: essendosi egli distinto per valor militare nelle battaglie di Modena e Piacenza e nell’assedio della Mirandola, fu creato colonnello del reggimento provinciale di Vercelli; si distinse pure nella guerra contro i genovesi e negli assedii di Savona e di Alessandria, e perciò venne nominato primo scudiere del duca del Chiablese, suo gentil uomo di camera e brigadiere di fanteria;: fu poscia maggior generale e capo del reggimento di Saluzzo ed infine nell’anno 1793 venne innalzato alla carica di governatore della città e provinciadi Tortona. Feccia, che tengono il feudo di Cossato con titolo comitale, sono pure nobili biellesi: di coloro che illustrarono questa prosapia già facemmo parola nel vol. V, pag. 486. Qui solo noteremo che il cavaliere Luigi Feccia di Cossato, insignito della medaglia d’argento al valor militare e della croce dei SS. Maurizio e Lazzaro, maggior generale nel regio esercito, fu deputato al parlamento nazionale ed occupa da alcuni anni la carica di comandante generale della R. accademia militare.
Uomini illustri. Ai personaggi nativi di Biella, che si acquistarono rinomanza pei loro talenti, dobbiamo aggiungere i seguenti che sono pur degni di memoria: Aichino Jacopo, fu deputato dei signori di Valesa Jacopo ed Ardisio e dei signori del Ponte di S. Martino per accettare la pace fattasi nel 1271 tra Napo o Napoleone Torriano podestà ed il comune di Vercelli per una parte e Rainerio eletto vescovo dal capitolo e dagli uomini della chiesa di S. Eusebio per l’altra. In tale circostanza l’Aichino dimostrò molta perizia nei maneggi di Stato, come provasi da due carte di quell’anno esistenti nell’archivio comunale di Biella. Bertolino Vegiis medico e Brunino ed Agostino chirurghi di Biella fecero parte della delegazione la quale addì 7 ottobre del 1579 prestò giuramento di fedeltà a nome di questocomune al conte Amedeo VI. Novellino de Martino e Moxo de Pietro furono nell’anno1579 i sindaci di Biella, deputati a trattare la dedizione di quei popoli ad Amedeo di Savoja, stanchi della intollerabile dominazione del vescovo Giovanni Fieschi. I due illustri oratori, come dalla istoria del Mulatera e dal Codice Monumenta Bugellae vien comprovato, in quell’importante convenzione diedero saggio di rara abilità e somma intelligenza. Scaglia Giacomo fu distinto (1585) professore di medicina, stipendiato nell’università di Pavia; locchè indusse il Parodi ad indicarlo nel suo elenco siccome pavese, ignorando la suavera patria. Genere Bonifacio, uomo erudito ed ottimo grammatico, fu esatto correttore di stampe in Torino, come ne fa fede il Giovenale con varii commenti, da lui riveduto nel 1494, stampatodallo Svigo oltre all’opera di Vergerio De ingenuis moribus ed altri libri. Brixio Illuminato frate agostiniano della congregazione di Lombardia circa il 1496. Dalla cronica di Crema risulta che fu egli teologo e dotto predicatore, professore di diritto civile e compagno del B. Cherubino d’Avigliana, com’egli stesso afferma in un suo sermone sull’Umiltà. Lasciò un volume di Prediche. Coppa Filiberto si rese benemerito della patria trascrivendo (1551) e ripulendo la storietta latina di un anonimo sui fatti di Dolcino, la quale unita al supplemento pubblicato da Benuccio Pietro, forma una compiuta storia di quei tempi. Costantini Nicolò, frate domenicano, inquisitore generale ditutta la Lombardia. Compose sul principio del secolo XVI nuovi esorcismi contro le streghe, di cui fu severissimo persecutore e coll’ajuto del P. Solerio Lorenzo, altro inquisitore, più di trecento persone consegnò a quei tempi al braccio secolare; il che viene riferito dal P. Cipriano Uerti nel suo libro della croce, stampato in Novara nel 1586. Riccardi Giorgio: fu medico onorario del re di Francia e del principe Maurizio di Savoja, lettore di medicina e vice- protomedico in Nizza marittima scrisse una dissertazione De abusuphlebotomiae in febribus epidemicis, la quale fu stampata inTorino nel 1650. Plana Pietro Antonio, professore di medicina, nell’anno 1656 pubblicò in Torino un’opera intitolata Methodus qua curata fuitfebris maligna, quae anno 1650 grassabatur. Plana Giambattista, figliuolo del precedente, dottore inmedicina, diede alla luce due disssertazioni: Pro sanguine extillante ab occisorum vel sub mersorum cadaveribus, praesentehomicida, vel amicorum aliquo, causa naturalis assignatur. Taurini 1694 in fol. Curiosissimi saggi del valore delle scienze, leggi e medicina. Torino 1695. Artaldo Andrea, riputatissimo avvocato, il quale morì nell’anno 1684, lasciando molti suoi manoscritti intorno a materielegali, di gran pregio. Gallone Aurelio, letterato ed erudito antiquario, è autoredi varii scritti fra i quali notasi quello intitolato: Dilucidazioni di antiche medaglie e di lapidi. Scrisse anche un libro Dei cimiteri, nel quale vi sono molte iscrizioni che possono dar lume alla nostra storia. Morì il 12 gennajo 1646. Quaglino Paolo Pietro, agostiniano, lasciò manoscritta una raccolta di versi latini in vario metro col titolo: Incultorum Accademiae hos juveniles lusus in senili aetate offerebat fr. Paulus Petrus Quaglinusord. s. Augustini anno 1717. Statuti. Nel 1762 negli archivii di questa città conservavansi ancora i suoi statuti in un volume in pergamena di carattere antico e legato con coperta in legno: essi hannola data del 1245, data di molto anteriore alla sua dedizione ai duchi di Savoja; altri statuti però vi furono aggiunti posteriormente dal consiglio del comune e specialmente nel 1454 quelli che escludono la donna dotata dalle successioni ed il marito dal succedere alla sposa prima della celebrazione delmatrimonio. Arma della città. La città di Biella ha per arma un olmo verde in campo d’oro, con un orso attraversante il tronco dell’albero e con corona comitale sopra lo scudo.
App. vol. XXVII pp. 466-471
OROPA colle che sorge nelle Alpi Pennine (Eylis Sesia),a metri 2,305 sopra il livello del Mediterraneo, ai gradi 45°58′5″ di latitudine e 3°56’10” di longitudine all’oriente delmeridiano di Parigi. Appiè di questo monte, che dicesi anche Mucrone, Mussone o Col della Balma, sta il rinomato santuariodello stesso nome, del quale si parlò a pag. 344 del Vol. II.
Al santuario d’Oropa si cominciò l’erezione di un nuovo tempioin fogge e proporzioni veramente mirabili. Era questo unsemplice desiderio, quando la vedova regina di Sardegna, Maria Cristina, portatasi nel 1857 a visitare la madonna d’Oropa,ne iniziò l’impresa, assumendosi volontariamente l’incarico difarne eseguire il disegno. Ed affinchè la nuova chiesa fossein tutto corrispondente alla magnificenza del santuario, scelseall’uopo il celebre architetto Luigi Canina di Casal Monferrato, abitante in Roma, il quale recatosi alcuni anni dopoin Oropa per esaminare il sito e studiarne il terreno, steseun disegno (1) che sarà un eterno monumento del suo grandeingegno architettonico. Questo sontuosissimo tempio sorgerà dal lato di maestroin faccia alla porta maggiore d’ingresso al terzo cortile; occuperà, compreso l’atrio, un’area di circa 3,150 metri quadrati, due campanili ne abbelliranno ai due lati la facciata; ed una vastissima scalea di circa 100 gradini a tre ripiani, la quale deve cominciare dai 35 ai 40 metri al dissopra dellachiesa attuale, ne darà l’accesso e renderà il suo prospetto veramente splendido e maestoso. Per far vedere come ottima sia stata la scelta dell’architetto Canina a quest’opera grandiosa, cogliam qui il destro per darne i cenni biografici; locchè facciam noi ora contanto maggior piacere, in quanto che riempiremo così una lacuna lasciata a Casale sua patria, ove si sta per elevargli unmonumento pari alla sua fama. (1) Su questo disegno si costrusse un modello in legno nella proporzionedi uno a venti, il quale mercè di un semplicissimo ordigno spaccasi per ogni verso e si riunisce, onde mostrarne l’interna ed esterioreelegantissima struttura. Questo modello conservasi ora a quel santuario formando la meraviglia di quanti giungono a vederlo.
Luigi Canina nacque in Casale ai 24 ottobre 1795 da Giacomo Camillo, di famiglia patrizia, notajo e causidico, e da Maddalena Robusti. Fatti i primi studi in patria, nel 1805 entrò nel collegio convitto di Valenza, diretto da Vincenzo Canina, suo zio paterno, e vi rimase sette anni. Nel 1812 fuascritto qual volontario nel corpo del Genio militare francesestanziato in Alessandria e vi rimase sino al 1814 , nel qualeanno, addì 14 giugno, fu laureato architetto nella R. Universitàdi Torino. Nel 1818 si condusse in Roma fra’ pensionatiche il re di Sardegna inviava a perfezionarsi nelle belle arti; e quivi attese agli studi classici di civile architetturae di archeologia e col tempo acquistò estesaconsiderazione. Nel 1827 la casa Borghese lo scelse a suo architettoe coi disegni di lui accrebbe gli edifizi e gli ornamenti della suburbana Villa Pinciana. Dodici anni dappoi laregina Maria Cristina vedova di Sardegna, avendo fissatoqualche tempo la sua residenza in Roma, sulla proposizionedel conte Filiberto di Colobiano, gran mastro e conservatoregenerale della sua casa, lo scelse ad architetto e lo nominòdirettore degli oggetti di belle arti che commetteva a varipittori e scultori e spediva in Piemonte, non che degli scavamentiche fece eseguire ne’ suoi poderi esistenti nei territorituscolani e veienti. Di più gli commise le illustrazionidell’antico Tuscolo e della città di Veii. Il Canina le stampò con edizioni in lusso, le quali offerte a sovrani a nome dellaregina, produssero all’autore molte onorificenze. Nello stessoanno 1839 fu nominato membro della commissione generaledi antichità e belle arti. Con tale qualità diresse specialmenteristauri all’anfiteatro Flavio ed alla via Appia e scavamentialla basilica Giulia nel Foro Romano. Nel 1847 fu nominatoconsigliere comunale di Roma e vi rimase fino al principiodi luglio 1849. Funuovamente eletto nel 1854 ed ai 18 lugliodell’anno successivo fu dichiarato cittadino nobile romanoe presidente del museo Capitolino. Accettò l’ufficio e rinunziòallo stipendio che vi era annesso. Nei primi giorni dimaggio del 1856 Pio IX avendo stabilito una commissione coll’incarico di ripristinare i bagni termali delle acque Albuleche scaturiscono tra il territorio tiburtino e l’agro romano,ne nominò membro ed architetto il Canina. Il duca diNorthumberland dall’anno precedente lo aveva invitato aLondra per fargli il disegno di una galleria ed egli, bramosodi rivedere ancora una volta i monumenti dell’arte cristianad’Inghilterra e di Francia, accondiscese all’invito e verso lametà dell’anno 1856 si avventurava ad un viaggio che larotta salute non gli comportava forse di fare. Pure ne vinsei disagi, e lieto delle accoglienze dei più chiari uomini diquelle contrade , se ne ritornava, passando per Casale suapatria, dove coll’autorità del suo voto conservava all’Italia,nel duomo di quella città, uno dei pochi monumenti cheancora si abbiano dell’architettura longobarda e che altriavvisava doversi demolire per surrogarlo con un nuovo tempio; e, suggeriti i modi di restaurarlo e di scoprirne la facciatadov’è scolpita a grandi caratteri la sua preziosa originalità, facea promessa di ricondurlo egli stesso alla primitivastruttura dirigendone i lavori da Roma, alla cui volta era obbligatoindi a partire dopo un breve soggiorno. Ma indarno egliaffrettava il suo ritorno a quella città; chè giunto a Firenzeammalava e quivi cessava di vivere il 17 ottobre del 1856. L’architetto Luigi Canina fu, come Ennio Quirino Visconti,come Winkelmann, come Cicognara, uno di quegli uomini cheabbracciarono colla granmente tutti gli antichi tempi, visseroper così dire con loro, ne intesero a fondo illinguaggioe se ne fecero interpreti alle generazioni avvenire. Le sueopere formano da 30 e più volumi in- foglio, i quali, senzaparlare delle opere non poste in commercio, non si possonoavere che colla somma di lire 2670, prezzo di catalogo. Inesse sono minutamente descritti tutti gli edifizi di Roma antica e quelli della sua vasta campagna: vi sono rilevati ilTuscolo antica e l’antica Etruria; vi sono come dissotterratil’antico tempio di Gerusalemme, i monumenti dell’architettura giudaica, della egiziana, della greca, e vi hanno felicissimee non prima fatte Ricerche sull’architettura più propriadei templi cristiani. Guidato da un genio infaticabile e daun immenso amore dell’arte egli interrogò tutti gli avanzidell’antichità, i ruderi ancor nereggianti sul suolo, le mura diroccate delle reggie, dei teatri, dei templi, deiportici, degliacquedotti; e vincendo i silenzi delle storie, lesse sulle pareti, sulle colonne, sulle are le vicende per cui passarono; determinò le età in cui furono costrutte; rapì all’ordine e alleproporzioni loro il nome di quelli che le innalzarono e lotrasmisero ai posteri. L’architetto Canina fu ascritto a molti istituti scientifici eletterari, cioè fu socio ordinario della pontificia accademia romana di archeologia; accademico di merito (quindi professorenella classe d’architettura e membro del consiglio) dellainsigne e pontificia accademia romana di s. Luca; membro dell’accademiadi belle arti di Vienna; socio dell’accademia Tiberinadi Roma; socio onorario nazionale dell’accademia reale di bellearti di Torino; accademico nazionale non residente dell’accademiareale delle scienze di Torino; corrispondente dell’Istitutodi Francia; membro onorario della direzione di corrispondenzaarcheologica; socio di onore del reale istitutodegli architetti britannici; socio della R. accademia ercolanesee della reale di belle arti di Napoli; professore dell’accademiafiorentina di belle arti; aggregato al collegio filosofico dell’archiginnasioromano; socio corrispondente dell’accademia di bellearti di Ravenna; membro onorario della società di arti edamicizia di Amsterdam; socio corrispondente dell’accademiadi belle arti di Milano; dottore di filosofia e maestro di artiliberali dell’accademia di Tubinga; membro accademico di bellearti di S. Ferdinando di Spagna; socio corrispondente dell’ateneodi Brescia; membro dell’istituto reale di Londra; sociodell’accademia Tuscolana; membro della società di antichitàdel Nord di Copenaghen ; socio dell’accademia ligustica dibelle arti; membro dell’accademia di belle arti di Rio Janeiro;socio dell’accademia reale di belle arti di Bruxelles ; socio dell’accademiadelle scienze di Berlino; membro titolare dell’istitutodi Africa; membro della società d’antichità di Londra;membro della società di statistica di Marsiglia. Il Canina fu decorato delle insegne di varii ordini cavallereschi; cioè fu cavaliere dell’ordine dello Sperone d’oro; cavaliere dell’ordine di S. Gregorio Magno; cavaliere dell’aquilarossa di Prussia, di S. Salvatore di Grecia, di S. Silvestro del leon di Zachringen del Baden, del merito civiledi Savoja, di N. S. di Portogallo, del merito civile del regnodelle Due Sicilie, di Francesco primo di Napoli, della coronareale di Wurtemberg, di Dannebrog di Danimarca, della Legion d’onore, dei Ss. Maurizio e Lazzaro, di S. Lodovico diLucca, della casa Ernestina di Sassonia. Fu commendatore dell’ordine di S. Salvatore di Grecia, cavaliere di terza classedell’ordine di S. Stanislao di Polonia, del merito civile della casa di Sassonia, dell’ordine della rosa rossa del Brasile,commendatore del leon di Zachringen del Baden,dell’ordinedi S. Giuseppe di Toscana. Fu anche onorato di medaglia d’oro: Da Luigi Filippo redei francesi, per le scienze. Da Niccolò I imperatore di Russia. Premio alle arti e scienze. Da Federico Guglielmo IV re diPrussia. Premio alle scienze ed arti. Dalla regina d’Inghilterra, in nome del reale istituto degli architetti britannici. Quest’ultimamedaglia il Canina donò all’accademia di S. Luca, nel museo della quale si conserva. Di Canina conservasi in Casale un ritratto in marmo, cheun suo fratello (1) nel 1815 commise allo scultore Antonio Bisetti.
(1) Il cavaliere Vincenzo Canina, presidente del tribunale provinciale di Alessandria, mancato non è gran tempo ai viventi