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Secondo i dati raccolta dalla Direzione generale di statistica, tra il 1887 e il 1903 erano attive in Italia 99 aziende di produzione di energia elettrica con un totale di 872 addetti, ovvero 9 in media per ciascuna impresa.
Ne derivava la scarsa concentrazione dei lavoratori, suddivisi tra l’altro tra la centrale di produzione e le reti di distribuzione. A differenza dell’industria manifatturiera, dove la separazione tra impiegati e operai era netta, in ambito energetico esisteva in realtà un contatto costante tra tecnici specializzati e operai; per via delle caratteristiche delle mansioni la manodopera era ben qualificata e lavorava con grande autonomia operativa.
La dispersione delle aziende sul territorio, un esiguo numero di addetti con la citata tendenza a lavorare in autonomia e le conseguenti scarse occasioni di contatto e confronto sono tra i fattori che ritardarono la nascita di un sindacato di categoria di respiro nazionale, che sarà istituito solo nel 1919.
Le esperienze di inizio secolo erano maturate a livello aziendale o locale, e più diffusamente nei centri medio piccoli che nelle grandi città. In alcuni casi erano nate leghe autonome o aderenti alle Camere del Lavoro; in altri si riscontrava l’adesione alla FIOM oppure la nascita di leghe locali miste con altre categorie, quali gas e tramvie.
La prima guerra mondiale aveva fatto emergere la difficoltà di sostituire la manodopera specializzata richiamata alle armi, generando la richiesta da parte delle industrie elettriche di decretazione di ausiliarietà.
Al termine del conflitto l’industria elettrica era ormai riconosciuta tra i settori preminenti per due motivi, la sua centralità dell’industria elettrica nella ricostruzione e l’assenza dei problemi legati alla riconversione della produzione da bellica a civile.
La strada alla nascita della FIDAE Federazione Italiana Dipendenti Aziende Elettriche si apriva nel 1919 con due trattative, a Roma e Napoli: oltre alla conquista delle 48 ore settimanali, l’orientamento era rivolto a costruire un regolamento unico nazionale per la categoria degli elettrici o almeno l’omogeneizzazione dei regolamenti aziendali. Il 23 giugno si tenne il 1° Congresso nazionale dei dipendenti delle aziende elettriche. Alla fondazione della FIDAE parteciparono 5.376 iscritti.
Con lo scioglimento del sindacato nel periodo fascista si ottennero esclusivamente accordi di tipo salariale tendenzialmente stipulati a livello aziendale, giungendo tuttavia a risultati in generale omogenei.
Durante la Resistenza la salvaguardia degli impianti era ritenuta fondamentale da entrambi i fronti; non fu un caso infatti che nel dopoguerra gli impianti elettrici colpiti da pesanti danni bellici ammontassero a circa il 27% del totale e solo pochi mesi furono necessari per ripristinare il funzionamento.
La FIDAE fu ricostituita già nel gennaio 1945 e gli industriali accettarono subito di trattare per il riordino contrattuale della categoria degli elettrici, che di fatto non era molto diversa da quella del 1919: la dispersione territoriale restava una caratteristica.
Nel Biellese la ricostituzione del sindacato fu convocata da una circolare del 26 ottobre 1945 e pochi giorni dopo, il 3 novembre, si tennero le prime elezioni post belliche; sette furono i lavoratori eletti e Ugo Mezzalama assunse l’incarico di segretario. Gli eletti provenivano dalle principali aziende elettriche biellesi: la S.A. Distribuzione di Energia Elettrica, la Società Idroelettrica del Piemonte S.I.P., la Società Idroelettrica Maurizio Sella, tutte di Biella, la S.A. Dinamo di Valle Mosso e le Officine Elettromeccaniche di Valle Mosso.
Pochi giorni dopo un’altra circolare comunicava quindi la ricostituzione della FIDAE di Biella alle aziende elettriche locali; nell’elenco dei destinatari oltre a quelle già citate compaiono le imprese: Capra Enrico, Crosa Pierino, Elettromeccanica Vallestrona, Fantone Abele, Guido Gianni, Dinamo Gattinara, S.A. Idroelettrica Saglianese, Tamagno Giuseppe, Aquilino Alfredo, Sasso & C., Chiorino & C.
All’inizio del 1946 si giunse al primo contratto nazionale, stipulato per i lavoratori delle maggiori aziende elettriche italiane “addetti ai servizi tecnici, amministrativi e commerciali relativi all’esercizio degli impianti di produzione, trasformazione, trasporto e distribuzione dell’energia elettrica, non aventi diritto alla qualifica di dirigente”.
L’orario di lavoro per gli operai era di 48 ore settimanali, per gli impiegati variava tra 42 e 48 a seconda delle mansioni, mentre saliva anche fino a 52, 56, 60 ore per il personale addetto alla sorveglianza di dighe, prese, canali, centraline.
La maternità era tutelata secondo le disposizioni di legge, ma il contratto evidenziava la scarsissima presenza di personale femminile.
Caratteristica della FIDAE negli anni ‘50 fu una scarsa propensione al conflitto la cui ragione va ricercata in alcune peculiarità dei lavoratori elettrici: il senso di appartenenza a una categoria privilegiata, l’equilibrio tra forze operaie e impiegatizie, l’alta adesione al sindacato finalizzata al raggiungimento di risultati immediati.
Furono gli anni in cui si fece strada l’idea della nazionalizzazione, avviata alla fine del 1957 con il distacco delle aziende a partecipazione statale da Confindustria. Nel 1962 la nascita dell’Enel con la legge n° 1.643 del 6 dicembre 1962 fu preceduta da un ampio dibattito politico e economico anche a livello locale, in concomitanza con la nascita del primo governo di centro-sinistra.
Fonti
Archivio FIDAE Federazione Italiana Dipendenti Aziende Elettriche
[presso il Centro di documentazione della Camera del lavoro di Biella]
1) Coriasso R., Il sindacato elettrici della CGIL, Roma, Ediesse 1985
2) Coriasso R., Lavoro e energia. Lavoratori elettrici e sindacato 1884-1945, Milano, Franco Angeli 1988